giovedì 26 gennaio 2012

Cultura, la tela dimenticata dell'Unità d'Italia appello per riportarla alla Reggia di Caserta

"La morte di Pilade Bronzetti a Castelmorrone" di Luigi Toro
Una tela di quattro metri per sei si trova arrotolata in una stanza del museo nazionale di San Martino a Napoli, impolverata, priva di cornice e lasciata in un luogo buio in balìa del tempo che ne sciupa i colori e la bellezza. E’ la tela che riproduce “La morte di Pilade Bronzetti a Castelmorrone” che fu realizzata nel 1885 da Luigi Toro, artista di origini sessane ma vissuto a lungo a Roma, dove fu apprezzato da pubblico e critica e ammirato da re Umberto I, che ne visitò lo studio in via Margutta. Oggi, la Facoltà di Lettere della Seconda Università di Napoli, ne chiede il restauro e avanza la proposta di far ritornare la tela nella sua naturale collocazione: alla Reggia di Caserta. Autore e personaggio raffigurato, non a caso, sono legati a filo doppio con la provincia di Caserta. L’eroe è, infatti, il bersagliere Bronzetti, mantovano che ha versato il suo sangue il 1° ottobre del 1860 in Terra di Lavoro per l’Unità d’Italia: non fu tra i Mille di Garibaldi che sbarcarono a Marsala, ma solo perché Enrico Cosenz, ormai generale, lo volle con sé come capitano nella seconda spedizione che stava preparando. Combatté nella battaglia di Milazzo e, nel frattempo, si innamorò della genovese Jenny Odero con la quale ebbe una struggente storia d'amore frantumatasi alla vigilia dell'ultima e fatale impresa di Castelmorrone. Per il centocinquantesimo anniversario della morte dell’eroe, la Facoltà di Lettere che ha sede a Santa Maria Capua Vetere, presieduta da Rosanna Cioffi, ha segnalato l’urgenza del restauro del dipinto legato alla storia risorgimentale e alla gloriosa battaglia del Volturno. “Il quadro venne recensito da D’Annunzio  – ricorda la professoressa Almerinda Di Benedetto, docente di Storia delle Arti Contemporanee della Facoltà e studiosa dell’Ottocento -  esso appartiene alla Fondazione Banco di Napoli – Intesa San Paolo dal 1900, quando, dopo la scomparsa dell’artista, a causa di un credito fondiario esercitato dal Banco di Napoli, il dipinto entrò nella proprietà dell’ente, confluendo poi nelle sue collezioni. Oggi il quadro giace, ormai da qualche decennio, nei depositi del Museo napoletano di San Martino, privo della cornice originale smarrita durante i diversi spostamenti subiti. Nonostante i numerosi appelli rivolti ai vertici della Banca Intesa San Paolo, solitamente sensibile alle iniziative legate al mondo dei Beni culturali, la proposta di intervento è tuttavia rimasta inascoltata”. Il recupero, che ha bisogno di uno stanziamento economico di circa 50 mila euro, rappresenterebbe il primo passo per un ideale “ritorno a casa” dell’opera che darebbe un valore culturale aggiunto alla provincia di Caserta e alla sua pagina storica del Risorgimento italiano. Fu proprio Toro, infatti, a far giungere il dipinto alla Reggia di Caserta nel 1886 con l’intento di farlo acquistare dalla Deputazione provinciale con il sostegno dei  Ministeri di Casa Reale, della Pubblica Istruzione e della Guerra affiancati dai comuni di Caserta e Castelmorrone. L’ipotesi, trascinatasi attraverso lunghe trattative, non andò mai in porto.

Marilù Musto

Processo Ixfin, sentenza prevista per l'estate ma in appello scatterà la prescrizione

Dovrebbe arrivare entro l’estate l’attesa sentenza del processo Ixfin in corso di svolgimento al Tribunale di Roma, che vede imputati per i reati
Renzo Polesel
di malversazione ai danni dello Stato e tentata truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche amministratori ed ex dirigenti della società di telecomunicazioni tra cui Renzo Polesel, ex vice-presidente di Confindustria Caserta e attuale presidente della Jabil di Marcianise, Massimo Zanzi, patron della Telital di Trieste e Loreto Fulchir, proprietario tra l’altro della Finmek. Una corsa contro il tempo che non eviterà comunque la prescrizione di tutti i capi per il gennaio del 2013, quando presumibilmente sarà in corso l’appello. Gravi i fatti contestati. In un arco di sei anni, dal 1999 al luglio del 2005, gli imputati avrebbero utilizzato per finalità diverse da quelle stabilite i fondi erogati dal Ministero dello Sviluppo Economico per progetti di ricerca e prodotti altamente tecnologici, come la banda larga e la Concept Car, una specie di auto del futuro, progetti in realtà mai portati a termine a dispetto della documentazione presentata al dicastero. I fondi pubblici servivano a tenere in vita lo stabilimento ex Texas Instruments di Aversa, che l’Ixfin abbandonò per trasferirsi all’ex Olivetti di Marcianise. L’area aversana di 52mila quadrati, ubicata nei pressi della fermata della metro regionale, è stata poi oggetto di una vera e propria speculazione edilizia, finita dopo vari passaggi all’Esseci Immobiliare di Aniello Cesaro, fratello del presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro, che ora vorrebbe costruirvi appartamenti e uffici, mentre il sito di Marcianise, come accertato nel processo in corso a Roma, fu lentamente spogliato di macchinari acquistati con soldi pubblici, finiti poi negli altri stabilimenti Ixfin di Chieti e Avezzano, mentre gli avveniristici progetti, salutati dalla stampa locale come fiore all’occhiello dell’industria casertana, rimasero sulla carta nonostante i quasi 15milioni di euro erogati dallo Stato. Nel luglio del 2006 l’Ixfin è poi fallita lasciando in mezzo alla strada 700 lavoratori, secondo un copione che gli stessi dipendenti avevano già immaginato nel 2001, quando in 141 presentarono una dettagliata denuncia alla Procura di Santa Maria Capua Vetere; l’indagine, andata avanti tra mille difficoltà - ben quattro i pm cambiati - si è chiusa solo nel 2007 lasciando incredibilmente fuori il titolare della Ixfin, l’imprenditore irpino Massimo Pugliese.
l'Ixfin di Marcianise
La Procura, tra l’altro, non ha approfondito l’aspetto relativo ai passaggi di proprietà del sito aversano, nonostante le pesanti ombre “speculative” emerse già nell’informativa di reato presentata dalla Guardia di Finanza il 12 luglio del 2004. La competenza è poi passata al Tribunale di Roma, ma nel frattempo molti lavoratori si sono stancati di attendere giustizia, così solo in tre su 141 si sono costituiti parte civile mentre il Ministero, nonostante i fondi erogati inutilmente, non si è costituito. Il paradosso è che quei soldi sborsati per i progetti fasulli e mai recuperati sono costati all’Italia un deferimento alla Corte di Giustizia da parte della Commissione Europea per aiuti di Stato illegali. 
Il 23 gennaio scorso intanto il collegio presieduto dal giudice Marcello Liotta ha ascoltato l’investigatore della guardia che seguì una parte delle indagini, il quale ha confermato quanto accertato. In calendario restano le udienze del 28 e 30 marzo in cui saranno ascoltati uno dei lavoratori costituitisi parte civile, l’ingegnere Giancarlo Attena, assistito dall’avvocato Francesco Caterino, e il consulente del tribunale Salvatore Ponte, quindi sarà la volta di procura e difesa e poi della sentenza che dovrebbe finalmente chiudere un primo capitolo di una storia che ha ancora troppe ombre e pochi responsabili. 

Antonio Pisani

mercoledì 25 gennaio 2012

Cervino, finì in cella per l'omicidio del sindaco assolto ingegnere del Comune

Assolto per insufficienza di prove Pietro Esposito Acanfora, ingegnere del Comune di Cervino, unico imputato accusato di aver ucciso il sindaco del paesino della provincia di Caserta, Giovanni Piscitelli, legato mani e piedi e bruciato mentre era ancora in vita il 28 febbraio del 2008.
Giovanni Piscitell
La sentenza è stata emessa nel primo pomeriggio di oggi dal giudice Marcello De Chiara del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il pm della procura di Santa Maria, Maurizio Giordano, aveva chiesto la condanna a 14 anni di carcere per omicidio preterintenzionale nei confronti dell’ingegnere che la sera del 28 febbraio consumò con il primo cittadino di Cervino un aperitivo al bar Zanzibar di Maddaloni. Il movente, stando alla procura, era un terreno sul quale il geometra Vincenzo Vigliotti, indagato poi prosciolto, doveva costruire un muro per conto del cugino, proprietario del fondo, che viveva a Roma. Il permesso a costruire era stato osteggiato proprio dal sindaco Piscitelli che il giorno stesso della sua sparizione inviò un agente della polizia municipale a verificare se vi fossero degli abusi edilizi. Il gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Stefania Amodeo, ipotizzò, nella misura cautelare emessa nel l’aprile 2008, che la sera del 28 febbraio di quattro anni fa, l’ingegnere Esposito Acanfora consegnò nelle mani di Vigliotti il sindaco Piscitelli il quale venne tramortito con un colpo alla testa mentre tornava dal Zanzibar in compagnia del funzionario della casa comunale. Per disfarsi del corpo, pensando che Piscitelli fosse morto, l’ingegnere e il geometra avrebbero trascinato il sindaco nel bagagliaio della vettura di Pietro Esposito Acanfora per poi bruciarlo accanto alla sua vettura, trasportata in località “I Lebbrosi” dal geometra. Il processo indiziario era iniziato nel 2010 e si è concluso oggi con l’assoluzione dell’ingegnere.


Marilù Musto

lunedì 23 gennaio 2012

Casale, telecamere a spese dei cittadini contro i vandali della camorra

don Giuseppe Diana
Sono ferme al palo le indagini sui ripetuti danneggiamenti avvenuti al parco giochi di Casal di Principe dedicato a don Peppe Diana, il prete ucciso dai Casalesi il 19 marzo del 1994. Quattro i blitz vandalici compiuti negli ultimi mesi, l’ultimo venerdì scorso, quando sono state sradicate alcune piante dai vasi sistemati lungo il perimetro del parco ed è stato graffiato il marmo della cappella dedicata al sacerdote. Un’area simbolo della riscossa anticamorra che le istituzioni non hanno mai pensato di proteggere con appositi sistemi; “se lo Stato è assente, a salvaguardare il parco ci penseranno quei pochi cittadini stanchi di subire la prepotenza di questi ragazzi” afferma così Renato Natale, ex sindaco di Casale e responsabile in città del presidio dell’associazione Libera; è stato lui, venerdì, allertato dai residenti del posto, a presentare una denuncia alla polizia municipale, così come fece a novembre quando si recò alla Polizia di Stato perché i “soliti vandali” avevano cosparso di immondizia i giardini, danneggiato le giostre e disegnato sui muri con uno spray colorato un kalashnikov e una pistola. “Domani mattina – annuncia Natale - mi recherò in municipio per richiedere al commissario prefettizio Guida l’autorizzazione alla sistemazione del parco a spese di privati. Alcuni residenti si sono detti disposti a contribuire alla realizzazione di un sistema di video-sorveglianza e ad altri interventi di ripristino”. I lavori riguarderanno anche il portone di ingresso. Sul fronte delle indagini, il clima omertoso non aiuta gli inquirenti, gli unici elementi certi sono la giovane età dei responsabili e il valore altamente simbolico del gesto, compiuto in un luogo centrale che sorge a un centinaio di metri dalla caserma sede della compagnia dei carabinieri, a pochi mesi dall’elezioni comunali e in un momento in cui la “federazione casalese” si sta riorganizzando dopo l’arresto di Michele Zagaria. Da fonti investigative si apprende che dopo la cattura della primula rossa non è stato registrato quel  fermento che solitamente caratterizza i periodi di crisi dei sodalizi criminali, insomma le diverse anime del clan sembra si stiano risistemando sotto traccia e in un clima di unità, senza alcuna apparente contrapposizione. Sotto osservazione vengono tenuti due rampolli dei boss in carcere, entrambi incensurati: Carmine Schiavone, residente a Casale, figlio di Sandokan, sposatosi il giorno dei funerali di Michele Orsi, imprenditore ucciso dai killer di Giuseppe Setola il primo giugno del 2008, e Oreste Iovine, figlio di Antonio o’ Ninno, studente alla facolta di giurisprudenza all’Università Niccolò Copernico di Roma, residente a Venafro con la madre Enrichetta Avallone. L’episodio di venerdì potrebbe anche essere un gesto compiuto da qualche ragazzo che vuole colpire l’attenzione di chi comanda, al fine di essere arruolato. Quale che sia il movente, il recente atto sembra aver risvegliato un minimo di senso civico nella cittadinanza.

Antonio Pisani e Marilù Musto 

venerdì 20 gennaio 2012

Casal di Principe, ancora un blitz dei vandali nel parco giochi dedicato a don Peppe Diana

Danneggiato per la quarta volta il parco giochi di Casal di Principe dedicato a Don Giuseppe Diana, il sacerdote ucciso il 19 marzo del 1994 dal killer dei Casalesi Giuseppe Quadrano. Nella notte scorsa dei vandali hanno estirpato alcune piante dai vasi che si trovano lungo il perimetro del parco e hanno
il cartello all'ingresso di Casale
graffiato il marmo della cappella intitolata a Don Peppe, un simbolo dell'anticamorra nel paese considerato roccaforte del clan. Ad accorgersene per primi alcuni anziani del posto che come ogni mattina si sono recati al parco per leggere il giornale o portare i nipotini alle giostre. Non è stata sporta denuncia del fatto alle forze dell'ordine locali, ma alcuni volontari stanno organizzando un incontro per ripulire il parco devastato. Già nel dicembre scorso, sul pavimento del luogo intitolato al prete anticamorra erano state disegnate, con spray colorati, un fucile e una pistola. 
Il parco dedicato al prete ucciso
Nella "federazione casalese", dopo l'arresto del primogenito del boss Francesco "Sandokan" Schiavone, Nicola, e della primula rossa Michele Zagaria, si è creato un vuoto di leadership all'interno del clan, per cui gli investigatori ipotizzano che nuove leve stiano avanzando sul territorio per conquistare il comando. Gli atti vandalici potrebbero inserirsi in questo contesto, ma non si esclude la possibilità che dietro il danneggiamento dei luoghi culto dell'anticamorra ci sia la mano di vandali in cerca di popolarità.  


Marilù Musto

Conflitti di interesse e intrecci pericolosi: la verità sull'emergenza rifiuti a Caserta (1)

I sacchetti che si accumulano lungo i marciapiedi del centro, all’esterno dei condomini e dei negozi, nei pressi della Reggia Vanvitelliana e di altri monumenti. Drammatiche immagini di un capoluogo, già ferito da cave e discariche, che ripiomba nell’incubo di una potenziale emergenza sanitaria con costante regolarità, ogni volta tenuto sotto scacco dagli operatori ecologici secondo un copione già visto dai tempi in cui il loro datore di lavoro era la Sace di Mario Pagano, operativa fino al maggio 2008, quindi l'Ecologia Saba, estromessa nel 2010 dopo essere stata raggiunta da una interdittiva antimafia emessa dalla prefettura di Napoli. 
Rifiuti in via Turati (18/01/2012)
L’ennesimo blocco della raccolta è iniziato due settimane fa, quando gli operatori ecologici di Caserta Ambiente, la società privata che gestisce attualmente in regime di proroga il servizio di igiene ambientale, hanno capito che non avrebbero percepito la mensilità di dicembre e la tredicesima: così, da un momento all’altro, senza proclamare alcuno sciopero, bypassando i sindacati che hanno subito passivamente la scelta, hanno fermato l’attività. Giuste le motivazioni della protesta, sbagliate e illegittime le modalità, anche perché il ritardo nei pagamenti è stato di qualche settimana: lasciare i sacchetti per strada con astensioni improvvise e selvagge vuol dire non solo commettere il reato di interruzione di pubblico servizio, ma anche far pagare ai cittadini un conto salatissimo in termini di pericolo per la salute, un danno potenziale che si aggiunge alla beffa di dover sborsare in media ogni anno 410 euro di Tarsu, tra le più alte d’Italia, per un servizio che anche nei giorni ordinari risulta scadente, con strade del centro sovente invase da cartacce, lattine e bottiglie, cassonetti piccoli e spesso stracolmi a far da cornice ai palazzi, rioni popolari e frazioni sporchi e abbandonati, arterie periferiche ridotte a sversatoi di ingombranti, isole ecologiche trasformate in discariche. In più, quest’ennesimo blocco della raccolta costerà decine di migliaia di euro alla cittadinanza viste le 1400 tonnellate di rifiuti ancora per strada che finiranno in discarica senza alcuna differenziazione; l’azienda inoltre, ha fatto sapere di non volere assolutamente fornire altri camion al fine di incrementare la raccolta giornaliera che è pari a 120 tonnellate; i sacchetti dunque resteranno per strada per molti giorni ancora.
Il blocco degli operatori ecologici
La settimana scorsa la Procura ha aperto un’inchiesta sulle proteste, ma in passato, spesso, ne ha tollerato gli eccessi insieme alle forze dell’ordine, favorendo così un clima di impunità tra i lavoratori; la prefettura, in questo come in altri episodi simili, si è invece limitata a convocare riunioni con i sindacati che, come detto, non hanno presa sugli iscritti, mentre l’ente controllore, il comune di Caserta, guidato dal pidiellino Pio del Gaudio, come Ponzio Pilato, ha continuato a lavarsene le mani, come dimostra il suggerimento dato dal sindaco alla cittadinanza di tenersi i sacchetti in casa per qualche giorno, una resa totale di fronte ad una situazione in cui l'ente ha colpe e doveri ben precisi: in situazione di dissesto finanziario, da sette mesi non paga il canone mensile all’azienda che oggi non riceve più credito dalle banche e così non può, e di sicuro non vuole, pagare i salari; incassando regolarmente la Tarsu, il Comune dovrebbe però garantire in ogni modo che la protesta di lavoratori che, va ricordato, non sono suoi dipendenti, non abbia ripercussioni su un servizio già pagato dai contribuenti. Come dovrebbe garantirne l’efficienza ogni giorno dell’anno. 
Il vicesindaco Vincenzo Ferraro
Un assoluto vuoto di controllo e di potere a danno della cittadinanza che si può facilmente comprendere se si considerano gli intrecci, inopportuni e in qualche caso al limite della legalità, tra l’ente locale e la Caserta Ambiente: è noto come amministratori comunali di primo piano ricoprano incarichi direttivi nella società, cumulando il doppio incompatibile ruolo di controllore e controllato, è il caso di Pierpaolo Puoti, dipendente dell’azienda e consigliere comunale dell’Udc ma soprattutto di Vincenzo Ferraro, vice-sindaco in quota Pdl e responsabile del personale alla Caserta Ambiente, un vero privilegiato con auto e cellulare aziendale e uno stipendio mensile che tra retribuzione base, pari a 3050 euro, e accessori tra cui indennità da trasferta e premi qualità, raggiunge i quasi 5000 euro netti; non sono dunque una coincidenza i silenzi del numero due di Palazzo Castropignano di fronte alle intemperanze dei suoi colleghi, o la circostanza che in oltre 18 mesi di attività la società abbia ricevuto un numero esiguo di sanzioni dal Comune, nonostante i continui blocchi della raccolta o lo spazzamento quasi nullo.

Antonio Pisani e Marilù Musto

(continua)


Conflitti di interesse e intrecci pericolosi: la verità sull'emergenza rifiuti a Caserta (2)

Ma perché un’azienda con 180 dipendenti che serve un bacino territoriale nemmeno tanto vasto non riesce ad essere efficiente? Il motivo, ben noto a prefettura, forze dell’ordine e magistratura, è che in Caserta Ambiente non comandano i reali proprietari, ovvero la famiglia Roviello presente con l’Alba Paciello srl di Casagiove e l’Ipi srl di Roma dei Deodati, aggiudicatarie con un’Ati della gara bandita nel 2010, ma, come ai tempi della Sace e della Saba, pochi personaggi che gestiscono la società secondo modalità tipicamente clientelari e più spesso familiari, come il già citato Ferraro, o Giuseppe Zampella, conosciuto a Caserta come “Peppe la Porchetta”, partito come venditore ambulante di panini, oggi coordinatore generale operativo, un ruolo che gli permette di intascare oltre 5mila euro netti al mese, e soprattutto di decidere i turni giornalieri e quelli lautamente pagati durante i festivi e di assegnare altri accessori e straordinari; al suo fianco figli e parenti vari, assunti anche di recente, ricompensati con salari d'oro, decine di congiunti di esponenti di spicco della criminalità casertana legati ai Belforte di Marcianise, come i Della Ventura, i Rondinone e i Benenato. 
Un chiosco della famiglia Zampella
Una gestione autoritaria e contrassegnata da sprechi alla stregua di un carrozzone pubblico, incompatibile dunque con un’azienda privata e che non ha trovato grande opposizione nei sindacati, quasi sempre spiazzati dalle improvvise proteste dei lavoratori, e che ha finito per creare discriminazioni e malcontento tra i dipendenti. Una situazione che non fa bene all’efficienza del servizio e che il Comune ha fatto finta di non vedere: è singolare come sia ancora al suo posto il dirigente del settore ecologia Carmine Sorbo, lo stesso che concesse alla Saba, nonostante non avesse il certificato antimafia, la possibilità di partecipare e vincere la gara bandita nel 2008. E’ lui che dovrebbe accertare i disservizi attraverso gli ispettori comunali e sanzionarli. Ma Sorbo é uomo di sistema, come Enzo Ferraro, il quale si trova a suo agio nonostante sia in una delicata posizione, in un conflitto di interessi palese e quasi sfacciato dal momento che il sindaco Del Gaudio ha mantenuto la delega all’ambiente; in caso di assenza del primo cittadino insomma, Ferraro lo sostituisce anche nel ruolo di assessore all’Ecologia. Ma il vice-sindaco non si limita solo coprire i disservizi causata dalla gestione Zampella, ma, con l’acquiescenza di Sorbo, le magagne da lui stesso prodotte in qualità di responsabile del personale alla Caserta Ambiente.
Il dirigente Carmine Sorbo
Il capitolato d’appalto vieta espressamente il subappalto, elevandolo a causa di rescissione del contratto: ebbene ancora oggi, l’azienda si avvale di tre lavoratori assunti presso una cooperativa, la Provvidenza con sede a Nettuno vicino Roma. Andando sul sito della coop si scopre che ha finalità socio-sanitarie, presta infatti servizi di ambulanza, non è dunque un’agenzia di lavoro interinale, men che mai effettua servizi di igiene ambientale: si tratta in pratica di un subappalto, e non di fitto di manodopera. E’ evidente come Ferraro non possa non conoscere una circostanza del genere: nell’estate scorsa, tra l’altro, una ventina di stagionali sono stati assunti con questa modalità. Come è evidente che in qualità di vice-sindaco, non può non conoscere l’imprenditore titolare dell’impianto cui il Comune di Caserta conferisce l’umido: si tratta di Francesco Iavazzi, proprietario di una società come la Impresudsrl raggiunta nel luglio del 2010 da un’interdittiva antimafia emessa dalla prefettura di Caserta dopo aver richiesto l’autorizzazione alla gestione di un impianto di stoccaggio nel sito di Lo Uttaro; il provvedimento prefettizio fu sospeso dal Tar, tanto da provocare la reazione dell’ex prefetto Ezio Monaco che, l’otto maggio scorso, di fronte ai parlamentari della commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti in missione nel capoluogo, si disse “angosciato” per il fatto che il Tar avesse sospeso varie interdittive da lui emesse, tra cui quella all’Impresud. Francesco Iavazzi era comunque ben noto già dal 2008 agli investigatori del Noe dei carabinieri e allo stesso comune di Caserta, in cui Ferraro era consigliere comunale, per aver accettato senza denunciare nulla alle autorità le richieste estorsive provenienti dai Belforte di Marcianise e aver pagato somme alte (fino a 15mila euro); le tangenti riguardavano il noleggio dei cassoni all’amministrazione allora retta da Petteruti. Formalmente Iavazzi non è interdetto, dunque il Comune non ha l’obbligo di rescindere il contratto, così stabilisce il protocollo di legalità sugli appalti firmato il 19 dicembre 2007 dall’amministraziome casertana con Provincia, Regione e Prefettura; ma nel documento c’è un’ultima parte dedicata alle clausole da inserire obbligatoriamente nel contratto tra l’ente e la società privata, tra cui l’impegno per l’impresa a “denunciare immediatamente alle forze di polizia o all’autorità giudiziaria ogni illecita richiesta di danaro…”, cosa che Iavazzi non ha mai nemmeno pensato di fare. Ma la presenza di personaggi dai mille incompatibili incarichi o che incarnano quell’area grigia di interessi tra politica, imprenditoria e criminalità è una regola nel settore dei rifiuti. 
Sirio Vallarelli
Un’altra figura in Caserta Ambiente desta più di una perplessità, quella di Sirio Vallarelli, responsabile tecnico dell’azienda, ottavo livello retributivo, quasi dirigenziale, superpagato dal momento che allo stipendio base di 3050 euro aggiunge accessori come i superminimi arrivando a raggranellare oltre 5200 euro netti: è lui il trait union tra la testa della catena di comando, formata da Ferraro e Puoti, e la base rappresentata da Zampella. Vallarelli, nipote di don Mario, noto e facoltoso sacerdote scomparso qualche anno fa, è un colletto bianco che da anni fa incetta di incarichi direttivi in società operanti nel settore dei servizi ecologici, qualche volta concorrenti, riuscendo sempre a restare a galla nonostante quasi tutte le aziende in cui ha lavorato siano finite male: dipendente e metà degli anni duemila dell’Igica, società di proprietà del Comune di Caivano attiva nella raccolta e smaltimento degli rsu - fallita qualche mese fa – il 30 giugno del 2008 si dimette per diventare dirigente dell’Ecologia Saba, proprio nei giorni in cui l’impresa ercolanese ottiene l’appalto a Caserta; è lui l’uomo di fiducia del titolare Beniamino Sabatino, anche quando emergono le frequentazioni camorristiche di quest’ultimo. Ciò non impedisce a Vallarelli di passare alla Caserta Ambiente nel 2010, nonostante non sia un semplice dipendente, ma il fiduciario del capo interdetto per mafia. Più di un’ombra suscita poi l’incarico di responsabile tecnico ricoperto nella New Ecology Srl, società costituita il 26 luglio del 2010, appena un mese dopo la Caserta Ambiente (23 giugno); un’impresa i cui proprietari sono Umberto Ponzo e Luigi Fedi, già collaboratori di Sabatino all’Ecologia Saba. Pochi mesi dopo la sua costituzione, la New Ecology chiede ed ottiene dalla Regione, con decreto dirigenziale dell’11 agosto 2011, l’approvazione di un progetto per la realizzazione e la gestione di un impianto di stoccaggio e trattamento di rifiuti pericolosi e non pericolosi a Lo Uttaro, una struttura insomma in cui potrebbero finire anche i rifiuti di Caserta Ambiente. Un evidente conflitto di interessi per Vallarelli cui nessuno, Comune in primis, chiede conto. E i proprietari della Caserta Ambiente? Come detto, più che comandare, sembrano subire e avallare le decisioni prese dalla catena di comando dell’azienda. La signora Alba Paciello, titolare dell’omonima srl di Casagiove, ha ottanta anni, è il figlio Pietro Roviello a gestire realmente la società, ma delle sue doti imprenditoriali si sa davvero poco; di certo nella Caserta Ambiente Roviello, pur essendo consigliere di amministrazione, non conta molto, ma è riuscito a fare assumere il cognato. Più esposta è la famiglia Deodati, proprietaria dell’Ipi titolare del 60% delle quote di Caserta Ambiente; Antonio Deodati è il presidente del cda, con la sua impresa Ecocarri fornisce i mezzi che raccolgono l’immondizia. Le cronache raccontano che solo in una circostanza sia riuscito a bloccare un’infornata di assunzioni familiari da parte di Giuseppe Zampella, poi il nulla.

Antonio Pisani e Marilù Musto