martedì 21 febbraio 2012

Rifiuti speciali e cantieri comunali in disuso, così il sogno Policlinico affonda nel degrado

Da opportunità di sviluppo a cattedrale nel deserto: la parabola del Policlinico
Via Deledda, costeggia il cantiere del Policlinico
di Caserta è tutta nell’abbandono dell’area in cui la mega-struttura dovrebbe sorgere, decine di ettari a sud del capoluogo compresi tra le frazioni di Tredici e San Benedetto, già fortemente compromessi dal punto di vista ambientale in quanto confinanti con le discariche di Lo Uttaro ed esposti alla polveri di cava provenienti dai vicini cementifici degli imprenditori Moccia e Caltagirone. Arterie poco note come Via Grazia Deledda, via Learco Guerra, via Negri (traversa di viale Lincoln), via Binda, potrebbero
Via Deledda, il Policlinico sullo sfondo

essere un giorno le vie di accesso al Policlinico;
Via Deledda, rifiuti speciali
ad oggi sono stradine di campagna ridotte a veri e propri sversatoi non autorizzati, in cui è possibile trovare rifiuti urbani e speciali, lasciti di cittadini incivili e imprenditori disonesti, abbandonati sui terreni a fianco agli alberi da frutta, o stipati nei canali di scolo ai margini della carreggiata, ma anche un intero
Via Guerra, rifiuti lungo il perimetro del cantiere
cantiere comunale in disuso, ricordo di quando, appena qualche mese fa, il sindaco Del Gaudio annunciava l’avvio delle opere di urbanizzazione primaria del Pip di San Benedetto, il Piano d’insediamento produttivo voluto a tutti i costi nel 2004 dalla giunta Falco, in cui l’attuale primo cittadino era assessore alle attività produttive. Quelle strade non hanno mai visto la luce, ma in compenso le reti di recinzione, le transenne, i cartelli indicanti l’ente committente, i piccoli
Via Negri, cantiere del piano Pip in disuso
prefabbricati per gli operai sono ancora lì, abbandonati. Ironia della sorte, il direttore dei lavori è il dirigente comunale Carmine Sorbo, che è anche responsabile del settore ecologia del Comune: dovrebbe dunque impedire che si creino situazioni di profondo degrado vigilando sul servizio di raccolta dei rifiuti effettuato dalla società Caserta Ambiente, che per contratto è obbligata a raccogliere l’immondizia anche in periferia, ricorrendo se necessario a sanzioni verso l’azienda o sguinzagliando i suoi ispettori o la polizia municipale.
Via Negri, il pannello del cantiere comunale
Il cantiere Pip e il Policlinico sullo sfondo
L’abbandono dell’area attorno al Policlinico non testimonia solo i disservizi relativi al ciclo dei rifiuti, ma rappresenta soprattutto una spia del destino che potrebbe toccare alla struttura universitaria: una struttura che forse non
Degrado nell'area attorno al Policlinico
vedrà mai la luce perché ubicata in un’area ecologicamente irrecuperabile, non in grado di ospitare alcun presidio a tutela della salute.

Il Policlinico abbandonato, tra rifiuti speciali e cantieri comunali in disuso


Da opportunità di sviluppo a cattedrale nel deserto: la parabola del Policlinico di Caserta è tutta nell’abbandono dell’area in cui la mega-struttura dovrebbe sorgere, decine di ettari a sud del capoluogo compresi tra le frazioni di Tredici e San Benedetto, già fortemente compromessi dal punto di vista ambientale in quanto confinanti con le discariche di Lo Uttaro ed esposti alla polveri di cava provenienti dai vicini cementifici degli imprenditori Moccia e Caltagirone. Arterie poco note come Via Grazia Deledda, via Learco Guerra, via Negri (traversa di viale Lincoln), via Binda, potrebbero essere un giorno le vie di accesso al Policlinico; ad oggi sono stradine di campagna ridotte a veri e propri sversatoi non autorizzati, in cui è possibile trovare rifiuti urbani e speciali, lasciti di cittadini incivili e imprenditori disonesti, abbandonati sui terreni a fianco agli alberi da frutta, o stipati nei canali di scolo ai margini della carreggiata, ma anche un intero cantiere comunale in disuso, ricordo di quando, appena qualche mese fa, il sindaco Del Gaudio annunciava l’avvio delle opere di urbanizzazione primaria del Pip di San Benedetto, il Piano d’insediamento produttivo voluto a tutti i costi nel 2004 dalla giunta Falco, in cui l’attuale primo cittadino era assessore alle attività produttive. Quelle strade non hanno mai visto la luce, ma in compenso le reti di recinzione, le transenne, i cartelli indicanti l’ente committente, i piccoli prefabbricati per gli operai sono ancora lì, abbandonati. Ironia della sorte, il direttore dei lavori è il dirigente comunale Carmine Sorbo, che è anche responsabile del settore ecologia del Comune: dovrebbe dunque impedire che si creino situazioni di profondo degrado vigilando sul servizio di raccolta dei rifiuti effettuato dalla società Caserta Ambiente, che per contratto è obbligata a raccogliere l’immondizia anche in periferia, ricorrendo se necessario a sanzioni verso l’azienda o sguinzagliando i suoi ispettori o la polizia municipale. L’abbandono dell’area attorno al Policlinico non testimonia solo i disservizi relativi al ciclo dei rifiuti, ma rappresenta soprattutto una spia del destino che potrebbe toccare alla struttura universitaria: una struttura che forse non vedrà mai la luce perché ubicata in un’area ecologicamente per ospitare un presidio a tutela della salute.

venerdì 17 febbraio 2012

Casale, telecamere nel parco don Diana nessuna risposta dal commissario

Ancora nessuna risposta dal commissario prefettizio di Casal di Principe Ferdinando Guida alla richiesta avanzata dall’ex sindaco Renato Natale di dotare di un sistema di video-sorveglianza, a spese dei cittadini, il parco dedicato al prete ucciso dalla camorra don Peppe Diana, oggetto di ripetuti atti vandalici negli ultimi mesi. L’ultimo blitz il 20 gennaio scorso quando ignoti 
Il parco giochi dedicato al prete ucciso
hanno sradicato alcune piante dai vasi che si trovavano lungo il perimetro del parco graffiando inoltre il marmo della cappella intitolata al prete ucciso dai Casalesi. Qualche giorno dopo, l’ex sindaco di Casale Natale, responsabile nella cittadina dell’associazione Libera, si recò in comune per protocollare la richiesta di intervento. “Tutto sarà fatto a spese dei privati – ribadisce oggi Natale – non capiamo questo ritardo del commissario prefettizio che deve solo darci un’autorizzazione. Tra l’altro lo stesso prefetto di Caserta Pagano ha detto che l’intervento è fattibile. La città e i cittadini onesti vogliono fortemente che il parco dedicato a don Diana sia tutelato quotidianamente, anche per mandare un segnale forte alla camorra che sa bene – conclude natale – quanto quel luogo sia un simbolo di legalità”.  

venerdì 10 febbraio 2012

In cella il sindaco vicino a Zagaria, il pentito: era un pupazzo nelle mani del boss

L’arresto del sindaco di Casapesenna, Fortunato Zagaria (solo omonimo del boss Michele), accusato di violenza privata, arriva in maniera quasi scontata.
Il sindaco Fortunato Zagaria
La vicenda che lo vide coinvolto è quella del primo ottobre 2008, quando, stando alle indagini, avvicinò l’allora sindaco Giovanni Zara, eletto pochi mesi prima, nei pressi del campo sportivo del paese della provincia di Caserta in cui il boss è nato ed è stato stanato (il 7 dicembre scorso), per dirgli che non doveva più esprimere dichiarazioni su propositi di cattura di Michele Zagaria e Antonio Iovine, le due primule rosse del clan dei Casalesi all’epoca latitanti; cosa che Zara aveva fatto con un comunicato stampa emesso qualche giorno prima. Fortunato Zagaria, che pure nella tornata elettorale aveva appoggiato Zara, spiegò al giovane sindaco che quel territorio aveva già avuto esponenti politici che avevano fatto carriera con l’Antimafia – riferendosi probabilmente all’ex senatore Lorenzo Diana – e che se non voleva fare la fine di Tonino Cangiano - l’assessore di Casapesenna gambizzato dalla camorra nel 1988 e morto nell'ottobre del 2009 dopo oltre vent’anni passati sulla sedia a rotelle - doveva moderare i termini. Quel messaggio, aggiunse, gli era stato riferito
L'ex sindaco Giovanni Zara
da un emissario del boss Michele Zagaria. Tutto ciò compare nella denuncia presentata dallo stesso Zara alla Direzione investigativa antimafia. Fatti che ebbero puntuali riscontri qualche mese dopo, a gennaio del 2009, quando il sindaco propose un finanziamento di due milioni di euro per il riutilizzo del bene del capozona Vincenzo Zagaria: alcuni consiglieri della sua maggioranza si misero di traverso; addirittura uno di loro, in consiglio, si alzò e disse: “Bisogna dirlo prima ai familiari di Zagaria”. Zara  non chiese il permesso a nessuno e firmò comunque il protocollo, decretando in pratica la fine della sua amministrazione. Qualche giorno dopo infatti, il 10 febbraio, venne costretto a lasciare l’incarico in seguito alle dimissioni di massa di 11 consiglieri della sua maggioranza, compreso Fortunato Zagaria. Su un sito web in cui si parlava della notizia, un anonimo che si firmava Al Pacino scrisse a Zara: “Ti avevo detto che avevi i giorni contati”. Il giovane sindaco aveva anche ricevuto una lettera da Nuoro con all’interno le foto di Michele Zagaria e Antonio Iovine.
Sui rapporti tra Fortunato Zagaria, già sindaco di Casapesenna  verso la metà
L'arresto del boss Michele Zagaria
degli anni duemila, e il boss omonimo, si è soffermato il 29 novembre scorso Roberto Vargas, ex esponente di primo piano dei Casalesi accusato di triplice omicidio e oggi collaboratore di giustizia; nel corso dell’interrogatorio tenuto davanti ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia che indagavano sulle presunte pressioni del primo cittadino di Casapesenna verso l’ex sindaco Giovanni Zara, Vargas affermò che “il sindaco Fortunato Zagaria era sotto il controllo di Michele Zagaria. Il sindaco era stato indicato direttamente da Michele Zagaria, ovvero era stato messo a fare il primo cittadino proprio da Michele, il quale lo gestiva allo stesso modo di un pupazzo”. “Mi viene chiesto – continuò Vargas - in che modo Michele Zagaria ha agevolato il sindaco ed io le rispondo che lo ha fatto votare da tutti i suoi paesani sfruttando il suo potere camorristico. I Zagaria avevano a loro disposizione sia i politici del Comune che i tecnici comunali – ha continuato Vargas -  la stessa cosa avveniva a San Cipriano con Iovine, ed in altri comuni come Casaluce, Villa di Briano e Frignano, pure gestiti da Antonio Iovine".

Marilù Musto e Antonio Pisani

giovedì 9 febbraio 2012

Caserta Ambiente, il potere del coordinatore Zampella tra assunzioni clientelari e servizi negati alla cittadinanza

Più che un’azienda di servizi ecologici per la cittadinanza, Caserta Ambiente sembra un’agenzia di collocamento al servizio di pochi gruppi familiari. Di 180 dipendenti, quaranta provengono da almeno cinque famiglie del capoluogo, alcune delle quali vantano accertati collegamenti con la camorra marcianisana, è il caso dei Rondinone (sette assunti), già proprietari di bar e ristoranti, e dei Benenati (10 assunti). Ma la parte del leone la fanno i familiari del “coordinatore generale operativo” dell’azienda Giuseppe Zampella: in organico tredici suoi congiunti, tra mogli, figli di primo e secondo letto, nuore, fratelli e nipoti, collocati nei ruoli chiave della società pur in mancanza dei necessari titoli di studio e di una pur minima competenza nel settore ambientale. La famiglia Zampella è titolare tra l’altro di alcuni chioschi per la vendita di panini tanto che ancora oggi il coordinatore è noto con il soprannome di “Peppe la porchetta”: per lui e i suoi parenti l’incarico in Caserta Ambiente rappresenta dunque un secondo lavoro, retribuito lautamente con stipendi dai duemila euro a salire, un miraggio per molti giovani casertani. Zampella ha salario e benefit da manager, quasi 5200
Una rara foto di Giuseppe Zampella
euro netti al mese, di cui 3300 euro di paga base, e accessori come indennità di trasferta da 1200 euro e rimborsi di mille euro per spese varie, tre Panda e altrettanti cellulari aziendali per sé e la propria famiglia, un codazzo di dipendenti addetti costantemente alla propria persona, ovvero un assistente coordinatore, un autista e un altro collaboratore per incarichi vari; un potere da autentico boss nel settore dei rifiuti costruito negli anni attraverso le assunzioni di parenti e amici, iniziate ai tempi in cui il servizio di raccolta era gestito dalla Sace di Mario Pagano, proseguite con la Saba di Ercolano e, dal giugno 2010, con Caserta Ambiente; in particolare negli ultimi diciotto mesi ha consolidato il suo status di reale capo dell’azienda imponendo e ottenendo dalle famiglie Roviello e Deodati, proprietarie delle quote societarie, l’assunzione di circa quindici persone a lui vicine in sostituzione dei dipendenti deceduti o andati in pensione, tra cui una delle tante nuore e il figlio del suo autista. Una gestione personalistica pagata a caro prezzo dalla cittadinanza: nel suo ruolo di organizzatore operativo delle attività aziendali infatti, Zampella, al fine di mantenere inalterate le sacche di privilegio per sé, i suoi familiari e gli amici, ha negli ultimi anni ridimensionato molti servizi previsti dal capitolato d’appalto, come lo spazzamento o il lavaggio delle strade e dei cassonetti, la pulitura delle caditoie e dei tombini, il ritiro dei rifiuti nelle periferie, dismettendone completamente altri, è il caso della raccolta domiciliare degli ingombranti, del ritiro di pile, batterie; dalla strade sono via via scomparsi i contenitori gialli per la raccolta degli indumenti mentre le campane per le bottiglie di vetro sono ormai rarissime nonostante per contratto dovrebbero essere un centinaio, così come in centro sono introvabili i cestini e nei condomini scarseggiano i cassonetti. Stesso discorso per la differenziata: nel 2011, da dati ancora non definitivi, la raccolta dovrebbe attestarsi intorno al 20%, meno della metà della soglia del 50% prevista dalla legge per avere uno sconto sulla Tarsu, risultato lontanissimo da quello raggiunto nel 2010 (il 47%). Un crollo che costerà ai cittadini un nuovo probabile aumento della tassa sui rifiuti, già tra le più alte d’Italia, non giustificato dalla mancanza di discariche, ancora più incomprensibile visti gli 80 operatori ecologici in organico: il sospetto, più che fondato, è che molti dipendenti di Caserta Ambiente, specie parenti e amici di Zampella, non si diano molto da fare nel selezionare i rifiuti già differenziati dai cittadini o peggio, restino a casa invece di lavorare o si dedichino ad altre attività, quale quella di venditori ambulanti.
Uno dei chioschi della famiglia Zampella
Mancano in azienda badge e altri sistemi di rilevazione automatica delle presenze; dal canto suo, il dirigente del Comune Carmine Sorbo, nel corso dell’audizione resa l’otto giugno scorso ai parlamentari della commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, se l’è presa con i residenti dei rioni popolari incapaci, a suo dire, di effettuare la differenziata, tacendo sulla circostanza che quasi la metà dei lavoratori di Caserta Ambiente proviene proprio da quei quartieri. Nessun accenno al risibile dato della differenziata presso ristoratori e bar, di poco sopra lo zero, quasi un’attività di raccolta parallela gestita da Zampella e dai suoi collaboratori più fedeli e su cui gli ispettori comunali coordinati da Sorbo e la polizia municipale chiudono più di un occhio, nè ai continui blocchi selvaggi della raccolta che comportano l’accumulo di sacchetti e lo stop alla differenziata, imposti dallo stesso coordinatore ogni qualvolta si verificano ritardi nel pagamento degli stipendi: attraverso familiari e amici, Zampella è in grado infatti di controllare quasi la metà dei 180 lavoratori e di utilizzarli spesso come arma di ricatto verso i proprietari o il Comune, come è accaduto ad inizio gennaio quando la raccolta è rimasta ferma per due settimane. Situazioni che si ripetono con regolarità nel silenzio degli schieramenti politici cittadini, sia di destra che di sinistra, per cui il “piccolo esercito” controllato dal coordinatore generale rappresenta un fondamentale  bacino di voti, risultato decisivo tra l’altro nel 2011 per la vittoria alle amministrative del Pdl in cui militava Vincenzo Ferraro, responsabile del personale di Caserta Ambiente, divenuto vice dell’attuale sindaco Pio Del Gaudio. L’ascesa politica di Ferraro ha reso inattaccabile Zampella, che ha continuato a gestire con autorità ogni aspetto della vita aziendale, provocando solo in rari casi la reazione della proprietà. Nel settembre scorso per esempio, il presidente del cda di Caserta Ambiente Antonio Deodati ha sospeso l’elargizione dei 180 ticket che gli costavano 28mila euro al mese (5,29 euro al giorno a lavoratore): sembra infatti che numerosi buoni, nonostante l’assenza di lavoratori per ferie e malattie, non venissero restituiti all’azienda che così non poteva riutilizzarli il mese successivo ma doveva acquistarne un nuovo stock con perdite di migliaia di euro.
Zitti anche i sindacati, ricattati con l’arma delle adesioni che Zampella orienta a suo piacimento. Caso emblematico quello dell’Ugl, sigla cui è iscritto lo stesso coordinatore generale, totalmente assente in Caserta Ambiente nel giugno del 2010, quando partì l’appalto, oggi superpresente con 60 iscritti, molti dei quali neo-assunti; anche la Cgil ha visto aumentare i propri aderenti, mentre le altre organizzazioni preferiscono tacere. In trincea è rimasta una piccola sigla autonoma, la Cisas, che lo scorso luglio ha denunciato le assunzioni clientelari effettuate dalla società; in successivi comunicati, il suo segretario Mario De Florio ha raccontato di bacheche aziendali costantemente private del materiale diffuso dal suo sindacato, di dipendenti che si sono visti ridotti lo stipendio o hanno avuto improvvisi mutamenti di mansione dopo avervi aderito o che sono stati licenziati, è il caso di Giuseppe Izzo, responsabile delle risorse umane. Un clima aziendale pesante e omertoso di cui restano però poche tracce scritte: tra le organizzazioni sindacali e la società non è mai stato siglato alcun accordo circa i turni e gli orari di lavoro, sicché Zampella decide autonomamente chi adibire a determinati incarichi, chi far uscire la notte o il giorno, la domenica, chi insomma deve intascare gli straordinari o i rimborsi chilometrici, il tutto attraverso ordini di servizio incomprensibili  e introvabili nelle bacheche o dati oralmente. Capita così che la domenica, festivo pagato 100 euro, escano solo i suoi parenti o gli amici, che la moglie coordini la raccolta e lo spazzamento nella piccola frazione in cui vive, Casola, e abbia sotto di sé quattro persone, cifra da paesino medio-piccolo, che la figlia e il marito siano adibiti all’oscura raccolta degli ingombranti, che i membri della famiglia Benenati siano assegnati al turno pomeridiano, quello meno impegnativo. 

Antonio Pisani e Marilù Musto

venerdì 3 febbraio 2012

Strage di Castelvolturno, la rivolta dei ghanesi i video inediti delle devastazioni

E' il 19 settembre del 2008. La sera prima Giuseppe Setola e i suoi killer hanno massacrato a colpi di kalashnikov sei immigrati ghanesi all'esterno di una sartoria etnica sulla statale Domiziana al chilometro 43, al confine tra le province di Caserta e Napoli, nel territorio del comune di Castelvolturno. Quella mattina, mentre a Napoli si festeggia il Santo Patrono San Gennaro, scoppia la rabbia degli immigrati ghanesi, molti dei quali amici dei sei extracomunitari massacrati. 
I quattro video che il blog Dovere di cronaca pubblica sono inediti, e raccontano la lunga marcia di protesta sulla Statale Domiziana iniziata dagli immigrati intorno a mezzogiorno con l'obiettivo di raggiungere il centro di Castelvolturno, distante quindici chilometri. Saranno quattro ore di devastazioni, tra cartelli stradali divelti, cassonetti dati alle fiamme, semafori distrutti, con la polizia e le altre forze dell'ordine che preferiscono seguire da lontano la marcia per paura di intervenire e di creare ulteriori disordini. I residenti italiani osservano sorpresi e intimoriti dalle finestre, i commercianti abbassano le saracinesche, quei pochi che passano vengono minacciati ma nessuno subisce violenza. E' una rabbia istintiva quella degli immigrati ghanesi, che nasce dalla difficoltà di integrarsi in un territorio esteso per quasi venti chilometri lungo la statale Domiziana, governato dalla camorra e dalla mafia nigeriana mentre lo Stato ha solo degli avamposti, come nel lontano "west" americano. I ghanesi, lavoratori ma quasi tutti irregolari, ce l'hanno con le istituzioni che li hanno abbandonati, e non vogliono passare per spacciatori alla stregua dei nigeriani. Alcune voci dopo la strage parlavano di un regolamento di conti per questioni di droga, ma il processo a carico di Setola e compagni accerterà che le vittime erano solo degli innocenti che ogni sera si incontravano all'esterno della sartoria etnica per stare in compagnia. Ancora oggi Castelvolturno, con oltre 10mila immigrati clandestini, molti dei quali impiegati in nero, è una polveriera pronta ad esplodere, dimenticata dallo Stato e dalla politica: un territorio già devastato dal punto di vista ambientale che probabilmente non si riprenderà mai.

Antonio Pisani e Marilù Musto


giovedì 2 febbraio 2012

Strage di Castelvolturno, in tv il processo a Setola e le foto inedite della mattanza

uno dei ghanesi uccisi dai killer di Setola
Era la sera del 18 settembre 2008. Mentre a Napoli i fedeli si trovavano riuniti in preghiera in attesa che il sangue del Santo Patrono della città si sciogliesse e si ripetesse il miracolo annuale,a pochi chilometri di distanza, a Castelvolturno, provincia di Caserta, la camorra scriveva una delle pagine più nere della storia criminale italiana. Sei cittadini ghanesi vennero uccisi a colpi di kalashnikov nei pressi di una sartoria etnica sulla statale Domitiana. Quei ragazzi erano del tutto estranei alla malavita. Erano, infatti, delle vittime innocenti, lavoratori e rifugiati. Nel corso di tre puntate, a partire da sabato 4 febbraio, il programma condotto da Roberta Petrelluzzi, Un giorno in Pretura,  ripercorre un anno e mezzo di udienze presso la Corte di Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere presieduta da Elvi Capecelatro, giudice a latere Maria Chiara Francica (estensore della sentenza di primo grado), nel corso delle quali furono accertate le responsabilità di Giuseppe Setola e dei suoi  4 complici, autori del massacro e di molti altri delitti nello stesso periodo. L’accusa per tutti fu di strage con finalità terroristica e con l’aggravante del razzismo. Nella prima puntata vengono analizzati i fatti di quella tragica notte sulla Domitiana, quando un assurdo destino ha fatto sì che i 6 ragazzi, si riunissero per caso presso la sartoria di un amico, del tutto ignari di ciò che li aspettava.  Nella seconda puntata verranno ripercorsi  i 9 mesi di latitanza di  Giuseppe Setola, detto ‘O’cecato’, da aprile 2008 a gennaio 2009, durante i quali mette a segno ben 18 omicidi. Una scia di sangue e di orrore che si abbatte sulla provincia di Caserta e che sembra non avere fine. La terza e ultima puntata sarà incentrata invece sulle prove e il movente che inchiodano Giuseppe Setola e gli altri imputati alle loro responsabilità penali.


Marilù Musto