domenica 30 dicembre 2012

Stipendi d'oro e privilegi con soldi pubblici le cifre del fallimento del Consorzio Unico


Si può sintetizzare in tre numeri il fallimento finanziario del Consorzio Unico di Bacino (Cub): 105, come i milioni che l’ente deve ancora riscuotere per il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani effettuato negli anni dai suoi soci, ovvero 57 Comuni del Casertano; 170, come le ore di straordinario che un dipendente ha accumulato in un solo mese, ventotto giorni lavorativi
Gaetano Farina Briamonte
in più dei ventisei previsti dal contratto. 138, come gli addetti all’amministrazione, cifra degna di un ministero. L’attuale commissario liquidatore del Consorzio Unico Gaetano Farina Briamonte ha calcolato che il Cub perde ogni anno in totale circa venti milioni di euro. Ma nonostante le generiche denunce di sprechi e le minacce di dimissioni, lo stesso Farina Briamonte non ha mai invertito la rotta, che è rimasta sostanzialmente la stessa seguita ai tempi degli ex consorzi di bacino, da cui il Cub ha ereditato i dipendenti, i mezzi per la raccolta e i debiti milionari. Allora come oggi, nonostante i ritardi dovuti proprio al mancato pagamento delle quote dei comuni (attualmente i lavoratori attendono cinque mensilità, ndr), le retribuzioni sono comunque elevate per quasi tutti gli oltre 900 dipendenti - Farina Briamonte compreso (per lui poco più di 9mila euro mensili) - e danno la misura degli enormi sprechi di risorse pubbliche assolutamente ingiustificabili considerata l’inefficienza del servizio – ne è un esempio la differenziata che nel 2011 non ha toccato neanche il 40% (stesso risultato nel 2012, ndr) -; un'inefficienza che stride inoltre con la circostanza che gli operatori sono in sovrannumero in molti comuni, spesso in quelli ad alta densità camorristica come Casal di Principe (sono 27 per 21mila abitanti), Grazzanise (19 per 6mila residenti) e San Felice a Cancello, ente tra i più indebitati con il Cub (gli deve oltre 4milioni di euro, ndr), dove si raggiunge il record di 32 operatori per 17600 abitanti con addirittura 11 autisti. Se i minimi salariali sono in linea con il contratto collettivo di Federambiente, a far lievitare le buste paga sono invece le voci accessorie, come le svariate indennità (i superminimi, ndr), o gli
Un compattatore del Cub
straordinari e i rimborsi chilometrici regalati senza alcun controllo, le promozioni e i passaggi di livello assegnati senza tener conto dei titoli di studio e delle specifiche qualifiche possedute, e spesso in concomitanza delle tornate elettorali, sicchè la stragrande maggioranza degli addetti possiede livelli alti pur in assenza dei requisiti corrispondenti. Modalità di gestione clientelari identiche a quelle viste all’opera all’Ama di Roma, dove una recente inchiesta della Procura capitolina ha accertato 841 assunzioni irregolari poste in essere dai vertici dell’azienda di servizi ambientali, tutti rinviati a giudizio. Un’analoga inchiesta sul Cub è in corso alla Procura di Santa Maria Capua Vetere dal marzo 2010; ad indagare è la Guardia di Finanza di Caserta, ma al momento con pochi risultati, se si eccettua l'accertato mancato pagamento dei contributi previdenziali e delle ritenute Irpef per oltre 100 milioni di euro, per cui risultano indagati due ex presidenti dell'assemblea dei sindaci del Cub (Enrico Fabozzi e Luigi Munno) e due ex commissari liquidatori (Domenico Pirozzi e Gianfranco Tortorano).



I casi emblematici. Annamaria Del Vecchio, responsabile del personale del Cub, nell’ottobre 2009 ha percepito un lordo di 19061 euro, quasi 11mila euro netti (10787), partendo da un salario base di 2992 euro, gonfiato con voci a dir poco sospette, come “l’integrazione paga” pari a 998 euro, o “arretrati indennità” per 7500 euro, o ancora gli “arretrati da differenza retributiva” per quasi 5mila euro e le “diarie nazionali” per altri 704 euro; stesso trattamento
Anna Maria Del Vecchio
riservato al coordinatore tecnico Anthony Scialdone, che in più ha percepito 646 euro per “lavoro supplementare”. Antonio Scialdone, omonimo e compaesano del primo (sono entrambi di Vitulazio, ndr), ex direttore generale del Cub artefice in tale veste di centinaia di promozioni prima delle elezioni regionali del 2010, provvedimenti poi annullati e su cui è in corso un’indagine per voto di scambio, tra febbraio e aprile 2011, oltre ad apparire sulle buste paga ancora come “vice direttore generale” nonostante il Cub fosse già gestito da un anno dai commissari liquidatori, ha percepito accanto al salario base di 3052 euro lordi altri 12mila euro per 60 giorni di ferie arretrate. Luigi Munno, sindaco di Macerata Campania, ex presidente dell’assemblea dei sindaci del Cub, nel mese di settembre 2011, quando era cessato dalla carica da oltre due anni e il suo
Luigi Munno
comune era fuoriuscito dall’ente, si è visto accreditare un salario lordo di 10mila euro (6269 netti) come collaboratore coordinato e continuativo (co.co.co). Enrico Bovienzo, assunto senza alcun tipo di selezione all’inizio del 2009 come impiegato alla presidenza con un livello quasi dirigenziale (8q), per oltre 2 anni e mezzo è stato gratificato con un superminimo mensile di 3mila euro oltre ad uno stipendio base di 2300 euro, anche quando l’ufficio di presidenza ha smesso di funzionare (marzo 2010).



La sanatoria fatta in casa. Bovienzo appartiene ai 29 dipendenti assunti dopo il primo gennaio del 2009 in violazione delle legge 26 del febbraio 2010, che vietava
Pasquale De Lucia
espressamente assunzioni dopo quella data, e su cui qualche mese fa è intervenuta la sanatoria del commissario Farina Briamonte; un colpo di spugna, che la legge non prevedeva, costato alla disastrate casse del Cub oltre 60mila euro per pagare i tre avvocati del lavoro riuniti in una commissione creata ad hoc, quindi un ulteriore studio legale che avrebbe dovuto dare il parere finale, quello degli avvocati Pigrini del foro di Santa Maria Capua Vetere, in posizione peraltro di conflitto di interessi in quanto già rappresentanti di alcuni dipendenti che avevano presentato vertenza contro lo stesso Cub. La commissione ha salvato Gelsomina Crisci, compagna di Nicola Ferraro, l’imprenditore dei rifiuti condannato a 10 anni di carcere perché organico al clan dei Casalesi, e i numerosi lavoratori assunti al Cub per lavorare in quei Comuni i cui sindaci erano candidati alle regionali del 2010: è il caso di Pasquale De Lucia, parente e omonimo dell'allora sindaco di San Felice a Cancello, subito “comandato” in Regione dopo l'assunzone, e di Elpidio Martucci, coordinatore a Casagiove (il sindaco era Vincenzo Melone, ndr) e delegato del sindacato autonomo Fiadel, abituale ispiratore degli scioperi improvvisi dei lavoratori quando gli stipendi arrivano in ritardo, confermato con un livello alto (il 6A) pur senza, probabilmente, possederne
Vincenzo Melone
i titoli, e dotato di benefit aziendali come auto e cellulare. La commissione ha sanato poi la posizione della stessa Del Vecchio, assunta prima del 2009 (il primo gennaio 2004, ndr) nel consorzio Caserta 1, in cui il partner privato era proprio Nicola Ferraro; sull’esistenza di un reale rapporto di lavoro tra la Del Vecchio e il consorzio c’erano forti sospetti dovuti ad alcuni documenti dell’Inps da cui emergeva che nello stesso periodo in cui la Del Vecchio era in servizio al Ce1, a pagarle i contributi previdenziali era il fratello, titolare di una ditta presso cui era stata impiegata agli inizio degli anni 2000.



Gli sprechi ordinari. I privilegi riguardano quasi tutti gli oltre 900 addetti del Cub. I 669 “operativi”, ovvero gli operatori ecologici, gli addetti alle pulizie e ai centralini, i magazzinieri, i sorveglianti e gli autisti, percepiscono un salario base mai inferiore ai 1504 euro lordi, corrispondente al più basso livello contrattuale (2b), che sono però in pochi ad occupare; la stragrande maggioranza degli operatori ecologici è per esempio attestata al 3° livello, percependo in media tra i 1670 e i 1800 euro mensili, così come gli autisti, mentre i sorveglianti guadagnano tra i 1850 e i 2050 euro occupando livelli (4° e 5°) che richiederebbero particolari titoli di studio (il diploma) che molti non hanno; stesso discorso per i capisquadra, che gestiscono il lavoro dei netturbini. C’è poi l’esercito dei 138 addetti all’amministrazione: solo 30 di loro è inquadrato al 3° livello, per tutti gli altri si parte da un base costante di quasi 1900 euro mensili e si sale fino ai 3144,20 euro per le qualifiche quasi dirigenziali (livello 8q), possedute da ben sette dipendenti - tra cui la stessa Del Veccho e i due Scialdone o il collaboratore dell'ufficio legale Ketura Chiosi - mentre per 15 impiegati lo stipendio lordo mensile è di 2500 euro (7° livello).



I superdirigenti. Sono addirittura sei i dirigenti, per i quali si applica il contratto di Federmanager, quello dei manager Fiat per intenderci, con compensi che vanno dai 4357 euro lordi mensili di Franco Casertano (dirigente ufficio ispettivo) ai 6500 euro corrisposti a Francesco Goglia, grande capo
Francesco Goglia
dell’ufficio legale, ex sindaco di Casal di Principe e fedelissimo di Nicola Cosentino, proveniente dal Ce4 – risultato controllato dal clan Bidognetti - dove nel 2002 fu assunto con un contratto a tempo determinato di sei mesi, poi trasformatosi magicamente in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Nel mezzo, con salari minimi che vanno dai 5428 ai 5846 euro lordi, compaiono i tre funzionari che il Cub paga senza però usufruire del loro lavoro: si tratta di Isidoro Perrotta, responsabile degli impianti che il consorzio non gestisce più da mesi, essendo la competenza passata alla società della Provincia di Caserta Gisec, e dei due dirigenti in servizio presso altri
Giovanni Campochiaro
enti, ovvero l’ex vice-sindaco di Santa Maria Capua Vetere Giovanni Campochiaro, comandato alla segreteria del presidente del Consiglio regionale del Pdl Paolo Romano, e il mondragonese Giovanni Fusco, distaccato all’Arcadis, azienda regionale. C’è poi il dirigente operativo del Cub Francesco Raucci, anch’egli proveniente dal Ce4 dove iniziò a lavorare quale consulente di un’azienda, la Cispel, che si occupava di buste paga; con un colpo di penna si è ritrovato dirigente con un salario di 5923 euro mensili.



I "nullafacenti". Sono circa 100 i dipendenti scarsamente utilizzati o assolutamente inutilizzati: è il caso dei 13 operai addetti alla sensibilizzazione della differenziata, tra cui figura Giulio Testore, ex Cgil e oggi segretario provinciale del sindacato Fiadel, coordinatore dell’informazione, settore inesistente al Cub (è inquadrato al 5° livello con un salario base di 2048 euro); ci sono poi i 22 meccanici che hanno poco da fare visto che le riparazioni ai compattatori, spesso oggetto di  azioni di sabotaggio su cui indaga la procura di Santa Maria Capua Vetere, vengono solitamente affidate ad officine esterne; e i 66 “operativi da reinquadrare”, quasi tutti netturbini che lavoravano presso alcuni comuni fuoriusciti dal Cub, sono 15 dal gennaio 2009, e che nonostante gli obblighi di legge non sono stati riassunti dalle amministrazioni (è il caso di Capodrise, ndr).



Gli straordinari e la casta dei coordinatori. Le voci accessorie alla retribuzione, in particolare straordinari e rimborsi chilometrici, permettono a oltre la metà dei dipendenti del Cub di cumulare al minimo contrattuale quasi un secondo stipendio, violando tra l’altro la norma del contratto collettivo che prevede una quota massima di 200 ore di straordinario all’anno. In media ogni operatore ecologico percepisce tra 200 e i 300 euro di accessori al mese, gli
Lorenzo Diana
autisti un centinaio di euro in più; cifre che aumentano nei comuni a maggiore presenza camorristica. Il business è saldamente in mano ai coordinatori di cantiere, che gestiscono turni e concedono straordinari, quasi una casta con protezioni poco chiare. A tal proposito l’ex parlamentare del Pd Lorenzo Diana, membro fino al 2006 della Commissione Antimafia, nel corso di un’audizione al processo a carico di Nicola Cosentino per concorso esterno in associazione mafiosa, ha affermato che “alcuni capi dei cantieri oggi al Cub sono legati ai clan che attraverso di loro controllano il territorio e la raccolta dei rifiuti”. Un nome su tutti: Giovanni Orsi, fratello di Michele ucciso da Setola e i suoi sicari, coordinatore a Cancello e Arnone, mai coinvolto in indagini antimafia ma assunto nel Ce4 controllato dal fratello per conto del clan Bidognetti. Orsi percepisce in media 800 euro di accessori mensili, tra straordinari (25 ore in media) e rimborsi chilometrici (800 km). A San Cipriano, altro fortino del clan dei Casalesi, il coordinatore Salvatore Schiavone, guadagna in media tra 1000 e 1100 euro in accessori, mentre il coordinatore di Casal di Principe, nel solo mese di maggio ha raggranellato oltre 1500 euro comprensivi di 65 ore di straordinario. A Grazzanise, comune fino a qualche tempo fa amministrato da Enrico Parente, secondo presidente del Cub, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa,
Raffaele De Rosa
sono ben due i coordinatori, “l’operativo” Francesco Guida e quello “semplice” Vincenzo Martino, con accessori mensili dai 500 euro a salire mentre a Casapesenna, l’ex vice-sindaco e candidato alle ultime elezioni rinviate dal Viminale Raffaele De Rosa, impiegato responsabile della differenziata, oltre ad uno stipendio base lordo di 2770 euro, percepisce accessori pari, di solito, a 500 euro mensili; è doveroso comunque aggiungere che De Rosa è stato uno dei pochi assunti nel 2001 con concorso pubblico (nel Consorzio Caserta2, ndr) e che si è visto, unico tra i dipendenti apicali, abbassare il livello contrattuale (da ottavo quadro a ottavo, ndr). Tra gli amministrativi, il primatista è Domenico Di Pietro, che nel settembre 2011 ha percepito solo di accessori 3763 euro netti (con 170 ore di straordinario), mentre negli ultimi mesi si è accontentato di quasi 1100 euro oltre al salario base di 1880 euro.   



Le promozioni. Nonostante le indagini della magistratura e i problemi finanziari, al Cub le promozioni e i passaggi di livello, con conseguente maggiore esborso di risorse pubbliche, non si sono mai fermati. E’ del 31 ottobre scorso il provvedimento di Anna Maria Del Vecchio che ha aumentato i
Giuseppe Stellato
livelli per 4 dipendenti, tra cui l’impiegata di concetto Franca D’Orazio, moglie dell’ex sindaco di Cesa Vincenzo De Angelis, portata in un colpo solo dal livello 3° al 5° con un aumento salariale di 200 euro lordi. Tra i beneficiati anche Francesca Stellato, sorella del consigliere provinciale del Pd Giuseppe Stellato, portata dal quinto al settimo livello, e Franca Casolaro passato dal 5a al 6b nonostante sia comandata presso la Regione. 



Le altre inchieste. Tra gli scandali su cui indaga la Guardia di Finanza c'è la presunta truffa che vede coinvolti numerosi dipendenti del Cub che hanno ottenuto prestiti da società finanziarie per acquisti vari delegando poi il pagamento al consorzio; sembra che gli uffici dell’ente abbiano onorato le rate senza però decurtare la relativa quota dagli stipendi, che è rimasta dunque nelle tasche dei lavoratori. Altro aspetto su cui sono in corso le indagini è la concessione di finanziamenti a persone che non sono dipendenti del Cub ma che si sarebbero presentati alla finanziarie con documenti falsi attestanti il rapporto di lavoro con il Consorzio.
(del Consorzio Unico il blog Dovere di Cronaca si è già occupato nelle due precedenti inchieste del 5 maggio e del 4 settembre 2012, ndr)

Marilù Musto e Antonio Pisani
          
  





sabato 27 ottobre 2012

Sogeri, bonifica farsa ed espropri da record così lo Stato archivia la stagione dei veleni


L'Ilva di Taranto
Potrebbe diventare un nuovo “caso Ilva” la bonifica della discarica Sogeri di Castel Volturno, che lo Stato si appresta ad effettuare con un progetto firmato Sogesid, società del Ministero dell’Ambiente. Da un lato le ragioni di un territorio che dal 1995, anno in cui la discarica è stata chiusa, subisce gli effetti di una contaminazione continua dovuta al pessimo stato di conservazione del sito che, impermeabilizzato solo in piccola parte, non ha mai smesso di vomitare nell’ambiente agenti nocivi come il percolato e il biogas, generando tra la popolazione alti tassi di leucemie e tumori ai polmoni. La Sogeri è situata a 4 km dal centro abitato. Sul versante opposto i fondi a disposizione, scarsi, appena 13 milioni, non sufficienti per una reale bonifica ma solo per un intervento tampone, come il posizionamento di una copertura in superficie. In entrambe le vicende un ruolo rilevante lo svolge la magistratura, intervenuta anche a Castel Volturno nel marzo scorso con il sequestro dell’area di quasi 120mila
La discarica Sogeri
metri quadrati; le indagini svolte dalla Guardia di Finanza di Mondragone hanno accertato infatti che il percolato, liquido nocivo prodotto della decomposizione dei rifiuti, aveva inondato le campagne circostanti, in cui sorgono numerose aziende agricole e di allevamento di bufale, finendo probabilmente nel vicino Torrente Agnena e quindi in mare. L’ipotesi di reato è di disastro ambientale. Un disastro gridato a gran voce negli anni dalle associazioni ambientaliste, cui la camorra ha contribuito in modo determinante sversando a ripetizione nella Sogeri sia prima che dopo il 1995 i rifiuti speciali provenienti da aziende di tutta Italia, tanto che il boss Augusto la Torre definì la discarica “bancomat di famiglia”.   


Le cause del disastro. E’ lo stesso “progetto di messa in sicurezza e bonifica della discarica Sogeri”, già pubblicato tra agosto e settembre sul sito del Comune di Castel Volturno, ad indicare le ragioni del disastro. Il piano è attualmente allo stato preliminare ma contiene un'indicazione precisa degli interventi definitivi. Le pareti della discarica sono impermeabilizzate solo in piccola parte, si legge nella relazione al progetto Sogesid, ovvero “parte dell’ultimo lotto di 64mila metri quadrati” (la Sogeri si estende per oltre 100mila metri quadrati), sono dunque vere e proprie groviere attraverso cui si infila il percolato che poi
Il boss Augusto La Torre
torna in superficie o finisce nelle falde acquifere, che sono ad appena due metri di profondità. Il progetto riporta i dati di analisi risalenti al 1994 (a cura dell’Enea di Roma) sulle acque in superficie, che “evidenziano valori elevatissimi di ammonio e di metalli pesanti”, e del 1995 (effettuate dal professor Giancarlo Morelli della Federico II di Napoli), secondo cui la “falda a valle della discarica è interessata da valori elevati di ph, valori relativamente alti di cloruri e da contaminazione batterica di origine umana in atto”. A tal proposito un altro studio non allegato al piano, risalente al 2001 e commissionato dall’allora pm di Santa Maria Capua Vetere Arcibaldo Miller, ha accertato la presenza del liquido nocivo fino a 40 metri nel sottosuolo. Per quanto riguarda il biogas, altro prodotto inquinante della decomposizione dei rifiuti, il piano Sogesid constata che “gli impianti di captazione (36 pozzi verticali, ndr) sono ormai in disuso e in stato di abbandono”. Il progetto non cita dati sulle patologie legate all’inquinamento, anche perché non sono mai stati realizzati studi complessivi sul fenomeno. Alcuni dati Asl riportano però un aumento del 500% negli ultimi anni dell’assistenza domiciliare ai malati di cancro, mentre qualche mese fa, alcuni specialisti della clinica Pineta Grande di Castel Volturno confermarono all’Espresso l’altissimo numero di leucemie e di tumori ai polmoni e alla tiroide nella zona mentre un pneumologo affermò che su 400 casi di tumore, il 98% era inoperabile. Del pessimo stato di conservazione della discarica erano
Percolato alla Sogeri
consapevoli i vari commissari straordinari delegati all’Emergenza Rifiuti o alle Bonifiche che ciclicamente provavano, invano, a costringere la Sogeri srl dell’imprenditore di Casal di Principe Giacomo Diana ad attuare piani di messa in sicurezza finendo per erogare fondi per interventi tampone come il prelievo del percolato al Consorzio Caserta4, ente controllato dal clan dei Casalesi, più interessato agli sversamenti abusivi che alle bonifiche come emerge dai documenti giudiziari. Quasi nove i milioni erogati in 15 anni di cui oltre due solo tra il 2005 e il 2007. Dopo ogni prelievo di emergenza, il percolato si riformava, mentre l’accumulo illegale di rifiuti sia in discarica che all’esterno dell’invaso, complice la mancanza della recinzione per oltre metà del perimetro, proseguiva indisturbato: la Finanza, sempre a marzo, come attesta lo stesso progetto Sogesid, ha scoperto e sequestrato a fianco alla Sogeri un mega-sversatoio abusivo formato da 5mila metri cubi di rifiuti ingombranti, tra cui centinaia di elettrodomestici. 

Le lacune del piano Sogesid. Una reale bonifica, secondo molti tecnici, presupporrebbe un’impermeabilizzazione totale della discarica in modo da isolarla per sempre dall’ambiente circostante, o in alternativa, una riapertura dell’ammasso con selezione dei rifiuti non catalogabili tra quelli urbani, da inviare nelle apposite discariche, e l’edificazione di un nuovo invaso. Operazioni che costerebbero almeno quattro volte in più degli attuali 13 milioni, ma che potrebbero salvare un territorio devastato da anni. Nulla di ciò è al momento previsto. Il piano Sogesid, sulla cui esecuzione vigilerà attentamente la Procura di Santa Maria Capua Vetere tramite la Guardia di Finanza di Mondragone restando il sito sotto sequestro, prevede di caratterizzare i rifiuti, ovvero di analizzarne la diversa tipologia, ma non ne prescrive la rimozione nel caso molto probabile che si accerti la presenza di materiali tossici, soprattutto perché i fondi non basterebbero; è evidente che in tal
Il deposito illegale di ingombranti
caso i finanzieri e la Procura potrebbero bloccare i lavori, con il rischio che i tempi si allunghino a dismisura. Il piano interviene, altresì, solo su alcune delle criticità indicate, come la mancanza di “impermeabilizzazione sommitale”, con il posizionamento di una copertura (capping, ndr), ovvero di un telo per chiudere l’invaso in superficie in modo da evitare il passaggio dell’aria e dell’acqua e la formazione di nuovo percolato; il liquido formatosi negli ultimi mesi verrà prelevato e saranno rimessi in funzione il sistema di raccolta del percolato e l’impianto di captazione del biogas; sono poi previsti interventi di "lifting", come “il rimodellamento del corpo della discarica (che ha un'altezza di ventuno metri) con risagomatura e messa in sicurezza delle scarpate”. 

Il regalo agli inquinatori. Il piano esclude tra l’altro un intervento sul percolato presente in profondità, ed esclude espressamente che parte dei 13 milioni sia utilizzato per la rimozione degli elettrodomestici abbandonati, che resteranno dunque a fianco alla Sogeri, destinando però quasi il 5% dei fondi, circa 600mila euro, quale indennizzo per i proprietari dei terreni limitrofi che verranno espropriati per far procedere meglio i lavori. Si tratta di un’area di oltre 16mila metri quadrati attorno all’invaso, che viene valutata a peso d’oro, per un prezzo al metro quadro di circa 36 euro; si parte da un’indennità base di 12 euro al metro quadro, già spropositata trattandosi di aree da anni esposte all’inquinamento proveniente dalla discarica - sebbene inopportunamente il Puc del Comune di Castel Volturno le definisca aree
Le torri abusive abbattute
agricole – che si moltiplica per tre visto che i soggetti espropriati figurano anche come coltivatori diretti. I soldi andranno quasi interamente (oltre il 70%) alla famiglia Cecere, con forti legami di parentela e di affari con i Coppola (la moglie di Cristoforo Coppola è una Cecere, ndr), i costruttori delle otto Torri abusive poi abbattute, i maggiori inquinatori del litorale domizio. I Cecere sono i titolari dell’Azienda Agricola Bortolotto, una volta proprietaria dei terreni dove sorgono la discarica Sogeri e l’altra, più piccola (di circa 40mila metri quadrati), denominata proprio Bortolotto, oggi chiusa ma gestita fino a qualche anno fa dal Consorzio Ce4. Lo stesso progetto Sogesid dà poi un’altra indicazione importante, stabilendo che in quei terreni oggetto di esproprio sono “ritenuti ammissibili interventi nel settore dell’agro-energia ed interventi per la produzione di energia da fonti rinnovabili”; l’indicazione potrebbe apparire superflua, trattandosi di un progetto di messa in sicurezza di una discarica, ma non lo è, se si pensa che la stessa Sogesid, o l’Agricola Bortolotto, sono impegnati anche nel settore del fotovoltaico. “Le discariche si possono bonificare – spiega il geologo Roberto Simeone – non gli ammassi di rifiuti indifferenziati come la Sogeri e la Bortolotto”.

Marilù Musto e Antonio Pisani

martedì 2 ottobre 2012

Tribunale di Napoli Nord, per la nuova sede spunta l'ipotesi ex Texas di Aversa

Il Tribunale di Napoli Nord nell’area ex Texas di Aversa. Al momento è solo un’ipotesi sussurrata a voce bassa dagli avvocati casertani, rafforzata però da una certezza: nessuna sede - tra quelle indicate nel Decreto Legislativo 155 del Governo, ovvero Giugliano e Marano - è stata scelta, e da qualche settimana il senatore aversano del Pdl Pasquale Giuliano, ex magistrato, sta attuando un autentico forcing verso il Ministero di Grazia e Giustizia per portate proprio ad Aversa il nuovo Tribunale che dovrebbe avere
Pasquale Giuliano
un bacino di utenza di quasi un milione di persone residenti tra i comuni dell’hinterland nord del napoletano e i 19 dell’Agro-aversano facenti parte della provincia di Caserta. Si parla ufficialmente del Castello Aragonese di Aversa, attuale sede della Scuola di formazione della Polizia Penitenziaria e di proprietà del Ministero di Grazie e Giustizia; ma soprattutto si lavora, sotto traccia, per l’area ex Texas, ampia più del doppio con i suoi 52mila metri quadrati tra stabilimento e terreno, e di proprietà di una delle aziende di famiglia (la Esseci Immobiliare) del presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro, esponente di spicco del Pdl campano. 

Il mega-affare della famiglia Cesaro. L’area, secondo il pentito dei Casalesi Gaetano Vassallo, sarebbe stata acquistata dalla famiglia Cesaro solo dopo il benestare del clan di Francesco Bidognetti. Quel che è certo è che Aniello
Luigi Cesaro
Cesaro, fratello di Luigi, la compra nel 2004 da Ilario Ferruccio Floresta, in quel momento deputato di Forza Italia; una cessione - preceduta da almeno due preliminari d’acquisto, il primo nell’agosto del 2002 – che si perfeziona, paradossalmente, proprio nel periodo in cui i finanzieri del Comando Provinciale di Caserta depositano una dettagliata informativa al pm della Procura di Santa Maria Capua Vetere Matilde Brancaccio, ipotizzando una mega-speculazione edilizia proprio ai danni dell’area industriale che la multinazionale americana Texas Instruments aveva lasciato nel 1998 e sul cui rilancio produttivo lo Stato aveva investito, senza alcun risultato, oltre venti miliardi di lire. 


I sospetti della Guardia di Finanza. E’ il 12 luglio 2004: i militari scrivono di “imprenditori locali, i quali, create allo scopo tre società immobiliari (Iminvest srl, Industrial Progetti srl, Esseci Immobiliare srl), da quanto emerso, sembrerebbero interessati all’area in quanto futura area commerciale e non certo industriale”. Gli imprenditori locali sono Giovanni Spezzaferri, aversano, ed Aniello Cesaro, costruttore di Sant’Antimo: a loro sono riconducibili le tre società citate nell’informativa, create in appena un mese, tra l’aprile e il maggio del 2003. I sospetti dei finanzieri, su cui la Procura sammaritana
Ilario Ferruccio Floresta
ha indagato senza approdare a nulla, trovano conferma nei progetti di riqualificazione dell’ex Texas presentati dal 2004 in poi da Cesaro, che non contemplano, in alcun modo, un rilancio industriale dell'area, nonostante il preciso vincolo delle norme urbanistiche: l’ultimo, datato 2011, prevede abitazioni per i non abbienti ma anche locali commerciali e uffici. Negli anni il sito è stato indicato anche come sede della Facoltà di Ingegneria 
della Sun (Seconda Università degli Studi di Napoli); tra l’altro, nei pressi dell’entrata è stata realizzata la fermata della Metro Regionale. Che si sia trattato di una manovra speculativa lo rivelano poi tanti elementi emersi nell’indagine. Il prezzo pagato dall’imprenditore napoletano, poco più di tre milioni di euro, e la circostanza che lo stesso Floresta, nel maggio del 1999, avesse acquistato l’area da sé stesso pagandola ad un prezzo di gran lunga superiore, 18 miliardi di lire. Era infatti presidente del Cda della Unicom spa, società proprietaria del terreno e dello stabilimento, e del Cda della Yorik di Bologna, la società immobiliare acquirente; in una situazione, dunque, di palese conflitto di interessi, così come Sergio Vicari, ex manager di vertice della Texas Instruments, in quel momento amministratore delegato della Unicom e azionista e membro del cda della Yorik. I vari passaggi della compravendita furono seguiti dallo studio bolognese del commercialista Piero Gnudi, attuale ministro dello Sport nel Governo Monti, presso cui la Yorik era stata creata. 
 
La grande truffa ai danni dei lavoratori. I finanzieri ricostruiscono il passaggio di danaro avvenuto in poche ore il giorno 11 maggio del 1999, quando la cessione dell’area si perfeziona, scoprendo che i soldi sono usciti dalla porta per rientrare dalla finestra. In ballo ci sono anche i fondi statali messi a disposizione per il rilancio del sito: il sospetto, mai accertato, è che parte delle risorse pubbliche siano servite proprio per finanziare la compravendita dell'area. L’Unicom Spa delibera, causa “eccesso di liquidità”, un finanziamento di 25 miliardi di lire alla Telit di Trieste – azienda di Tlc proprietaria della Unicom – che a sua volta ne invia oltre 21, senza alcuna giustificazione, alla Yorik, che nello stesso giorno ne gira 18 alla Unicom per acquistare l’area. Nel trasferimento si perdono almeno sette miliardi che nessuno sa dire che fine abbiano fatto; la vendita di terreno e stabilimento, inoltre, costruito dall’ente pubblico Isveimer nel lontano 1967, doveva essere

Lo stabilimento ex Texas di Aversa
approvata dal Ministero delle Attività Produttive, a cui però, scoprono i finanzieri, non fu mai chiesta alcuna autorizzazione. E' l’area dunque a fare gola, scoprono i finanzieri, non lo stabilimento con i 370 dipendenti e i macchinari lasciato in eredità dalla Texas Instruments; tra il 1998 e il 2002, documentano, nonostante i fondi statali, i tre imprenditori che vengono ad Aversa con l’obiettivo di rilanciarne produzione e occupazione, il triestino Massimo Zanzi con la sua Telit, l’industriale di Udine Loreto Fulchir con la Finmek e l’irpino Massimo Pugliese con la Ixfin, depauperano costantemente dei macchinari lo stabilimento aversano, per il quale intanto pagano l’affitto alla Yorik di Floresta e Vicari, senza incrementare l’occupazione; e così ad inizio 2002 l’ex Texas viene abbandonata, e i lavoratori e quei pochi macchinari rimasti, trasferiti all’ex Olivetti di Marcianise. Lo Stato intanto continua a credere nei progetti di rilancio affidati ora a Pugliese; stanzia 15 milioni di euro per la fantomatica auto del futuro, o per la domotica. Anche Marcianise farà la stessa fine di Aversa, certificata dal fallimento della Ixfin nel giugno 2006. Tra meno di un mese dovrebbe arrivare a sentenza il processo in corso al Tribunale di Roma che vede imputati per truffa ai danni dello Stato Zanzi, Fulchir e i manager che si succedettero ad Aversa. Ma intanto il cerchio sulla mega-speculazione dell’ex Texas potrebbe chiudersi prima, con l’approdo del Tribunale di Napoli Nord. 

Marilù Musto e Antonio Pisani

martedì 25 settembre 2012

Appalto rifiuti a Caserta, si allungano i tempi nel mirino i requisiti dell'Ipi di Roma

Si prospettano tempi lunghi per l’aggiudicazione dell’appalto per il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani a Caserta. Un affidamento di cinque anni del valore di 57 milioni (oltre 11 milioni all’anno), il cui bando risale al giugno scorso. Dopo la seduta pubblica del 13 settembre, riservata all’apertura delle offerte economiche e all’attribuzione del punteggio complessivo, l’Ecologia Falzarano srl, società con sede ad Airola (Benevento), presentatasi nell'Ati (Associazione temporanea di imprese, ndr) denominata “Life Caserta” con la DHI Di Nardi Holding Industriale Spa di Pastorano (Caserta), ha infatti diffidato il Comune di Caserta dal procedere all’aggiudicazione provvisoria
Il dirigente comunale Carmine Sorbo
e definitiva chiedendo contestualmente l’accesso a tutti gli atti di gara, in particolar modo all’offerta tecnica ed economica presentata dall’altra Ati partecipante, quella composta dall’Ipi srl di Roma con l’Ecocar. L’Ipi, di proprietà insieme all’Ecocar dell’imprenditore capitolino Antonio Deodati, già effettua attualmente il servizio di raccolta degli rsu a Caserta insieme all'Alba Paciello srl di Casagiove con cui nel 2010 si aggiudicò, come "Caserta Ambiente", una gara di 4 mesi, con procedura ad invito; oggi opera grazie a continue proroghe. Tra i punti contestati dall’Ecologia Falzarano, che preannuncia anche ricorso al Tar, l’avvalimento dei requisiti cui sarebbero ricorse sia l’Ipi che l’Ecocar. In particolare entrambe le società si sarebbero avvalse dei requisiti posseduti dall’Asm, azienda a capitale pubblico del Comune di Rieti, contravvenendo in tal modo alla legge e all’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa secondo cui le “società in house”, come appunto l’Asm (cui i servizi vengono affidati senza gara, ndr), possono operare solo presso gli enti locali di cui sono diretta emanazione, non in altre realtà territoriali. L’azienda sannita contesta anche il punteggio di 100, ovvero il massimo, ottenuto dall’Ati Ipi-Ecocar, che nonostante un progetto tecnico molto ambizioso, che ha ottenuto 70 punti, anche in questo caso il massimo previsto, ha presentato un’offerta economica con un ribasso sostanzioso; una presunta anomalia su cui lo stesso Comune di Caserta sembra voler effettuare degli approfondimenti. A meno di non voler procedere all'aggiudicazione provvisoria con la spada da Damocle di un ricorso; da ambienti vicini alla Falzarano trapela la volontà di andare fino in fondo per non ripetere quanto accaduto nel 2009, quando l'azienda di Airola si aggiudicò una gara di pochi mesi indetta dal comune di Caserta per sostituire la Saba di Ercolano, destinataria di un'interdittiva antimafia; il provvedimento fu poi annullato dal Tar e ciò impedì all'Ecologia Falzarano di avere l'affidamento.

Marilù Musto e Antonio Pisani

martedì 4 settembre 2012

Il Consorzio Unico e l'asse politica-camorra: i nomi e i volti del fallimento


Un mezzo del Consorzio Unico
Con due ex presidenti accusati di concorso esterno in mafia, un ex direttore generale imputato insieme a boss di primo piano e dipendenti che forze dell’ordine e magistratura considerano pacificamente dei camorristi, il Cub, Consorzio Unico di Bacino, ente pubblico formato da Comuni attivo nel Casertano, sembra costituire un formidabile campo d’azione per quell’area grigia composta da amministratori locali, spesso sindaci, imprenditori collusi, affiliati e colletti bianchi, che da decenni gestisce in maniera autoreferenziale il settore dei rifiuti in Campania. Un sistema già protagonista del fallimento degli ex consorzi intercomunali obbligatori, che ha messo le mani sul Cub mesi prima che l’ente iniziasse ad operare, il primo gennaio del 2009. Portandolo in poco più di tre anni alla paralisi finanziaria ed operativa, con introiti ridotti al lumicino per la pratica illegittima di gran parte dei comuni soci di non versare i canoni mensili a fronte del servizio di nettezza urbana ricevuto (ad oggi il Cub vanta crediti con i comuni per oltre 105 milioni di euro), spese esorbitanti per gli stipendi e gli straordinari degli oltre 900 dipendenti e per gli appalti (oltre sette milioni di euro nel solo 2011), spesso inutili, come quelli per la guardania o relativi al noleggio dei mezzi. Cifre peraltro difficili da quantificare non essendo mai stati approvati i bilanci dell'ente a dispetto della legge.
 
Nicola Cosentino

L'inizio della fine. E’ il 18 aprile del 2008, il governo Berlusconi - in cui Nicola Cosentino siede come sottosegretario all’Economia – sta preparando in una delle fasi più drammatiche dell’emergenza rifiuti il decreto che scioglie i quattro consorzi obbligatori casertani (oltre i cinque napoletani), fortemente indebitati e infiltrati dai clan, facendoli confluire appunto nel gestore unico, il Cub. Quel giorno chiude in pratica i battenti la Matese Ambiente, spa (dichiarata fallita nel 2011) che si occupa di raccolta e smaltimento degli rsu in 35 comuni dell’Alto Casertano e le cui quote sono detenute al 51% dal Consorzio Caserta1 e al 49% da
Nicola Ferraro
un’azienda privata, la Green Line di Nicola Ferraro, imprenditore di Casal di Principe che di quell’area grigia rappresenta un elemento di spicco: attivo dall’inizio degli anni ‘90 nel settore dei rifiuti, un passato abbastanza recente (2010) da consigliere regionale nell’Udeur di Clemente Mastella, a febbraio 2012 è stato condannato a dieci anni di carcere per mafia (è tuttora ai domiciliari). La sua Green Line a metà 2008 non ha più i requisiti antimafia, così i 78 lavoratori della Matese Ambiente transitano al consorzio Caserta1, trasformandosi senza alcuna selezione in dipendenti pubblici. Tace la prefettura di Caserta; anzi, l’allora presidente del Ce1 Gianluigi Santillo, sindaco di San Potito Sannitico, amico e compagno di partito di Ferraro, qualche anno dopo (il 13 maggio 2010) dirà ai parlamentari della Commissione d’Inchiesta sul ciclo dei rifiuti che proprio un funzionario della prefettura aveva consigliato tale manovra, costatagli tra l’altro un’imputazione per abuso d’ufficio. 
Tutti gli uomini del Clan. Tra coloro che beneficiano del passaggio personaggi
Sebastiano Ferraro
già noti alle forze dell’ordine per la loro vicinanza o appartenenza al clan dei Casalesi e tutti legati a Nicola Ferraro: vi sono il fratello Luigi, condannato
anch’egli per mafia (attualmente ai domiciliari), Sebastiano Ferraro, parente dei due, ex presidente dell’Albanova calcio, la squadra controllata da Francesco Schiavone alias Sandokan, più volte arrestato e condannato anche nel processo Spartacus, e Arturo Massaro, che nello stesso periodo in cui viene assunto nel Ce1, è emerso alcuni mesi fa, faceva le estorsioni per conto di Giuseppe Setola. Passa al Ce1 anche un parente dello stesso “Sandokan”, così come Gelsomina Crisci, compagna di Nicola Ferraro, nonchè sua stretta collaboratrice. Dopo pochi mesi vengono tutti assunti nel neonato Cub. Dal Ce1 proviene anche Anna Maria Del Vecchio, attuale responsabile del personale al Cub, un posto strategico in cui si decidono promozioni e passaggi di cantiere.
Maurizio Fusco
E’ sempre lei a firmare i reintegri in servizio dei lavoratori del consorzio arrestati, spesso per associazione camorristica, e scarcerati: è il caso dello stesso Massaro, o di Maurizio Fusco, addetto alla differenziata con uno stipendio base di 1703 euro, sempre reintegrato nonostante la DDA lo ritenga capozona dei Casalesi tra Bellona e Pastorano, tanto da averne ordinato l’arresto in due circostanze, l’ultima nell’agosto scorso. Fusco, che la sua carriera di operatore ambientale l’ha iniziata nel 1999 nella Green Line di Ferraro, è arrivato al Cub attraverso l’ex Consorzio di bacino Caserta4, quello del litorale domizio, che la DDA ha scoperto essere un giocattolo nelle mani del clan Bidognetti e di politici come Nicola Cosentino e Mario Landolfi. 
Enrico Fabozzi
Politica e camorra. A Nicola Ferraro sono legati anche gli ex vertici del Cub: lo è in particolare il primo presidente dell’assemblea dei sindaci, Enrico Fabozzi, insediatosi il primo gennaio del 2009 in qualità di primo cittadino di Villa Literno, rimasto in carica fino all’aprile dello stesso anno, quando si dimette per lo scioglimento del suo Comune per infiltrazioni camorristiche. Fabozzi è stato arrestato il 15 novembre del 2011 per concorso esterno in mafia, reato in relazione al quale è destinatario di una richiesta di rinvio a giudizio della  DDA di Napoli; ma aldilà del dato giudiziario - la Cassazione ha tra l’altro fatto cadere altre accuse come quelle di riciclaggio e corruzione - restano pienamente accertati i suoi rapporti con Nicola Ferraro e il fratello Luigi, risalenti a molto tempo prima che il Cub iniziasse ad operare. La stessa decisione di Fabozzi di dimettersi da presidente del Cub, dettata, dice lui, da un sussulto di dignità istituzionale dopo lo scioglimento del suo comune, riletta alla luce di alcune intercettazioni, assume invece il significato di un vero e proprio favore reso a Nicola Ferraro e al sistema politico-camorristico che a lui faceva capo. Durante una telefonata captata dal pm della DDA Marco del Gaudio un’indagata parla di un incontro tra Ferraro e Fabozzi: “Io ho sentito che parlavano e il sindaco di Villa Literno ha detto: io se faccio il sindaco devo avere la parte mia, io mi sono dimesso dal consorzio, io devo avere un assegno da te di 9 mila euro, l’amicizia è una cosa e questa ne è un’altra”. 

Scialdone con la moglie
Il sistema all'opera. Il primo provvedimento di Fabozzi in qualità di presidente del Cub è un evidente favore all’imprenditore casalese: il 22 aprile 2009, poco prima di dimettersi, nomina infatti quale direttore generale del consorzio unico Antonio Scialdone, già ex vice-diggì al consorzio Acsa Caserta3, commissariato per debiti di decine di milioni di euro, ma soprattutto storico collaboratore proprio di Ferraro, con cui ha iniziato a lavorare non ancora trentenne a fine anni novanta nelle sue aziende di servizi ambientali. Una nomina, quella di Scialdone, avvenuta in violazione dello Statuto del Cub che richiedeva una selezione pubblica, anche se nelle more di tale procedura dava la possibilità di nominare un diggì ma con incarico di soli tre mesi. Scialdone resta invece un anno esatto, in
Enrico Parente
tempo per effettuare, tra le elezioni comunali della primavera 2009 che coinvolgono anche il suo paese natale, Vitulazio, e le regionali del 2010 - in cui sono candidati lo stesso Nicola Ferraro (Udeur), la moglie Michela Pontillo (nella lista Caldoro) e numerosi sindaci presenti nell’assemblea del Cub, tra cui Fabozzi, esponente del Pd, Pasquale De Lucia (San Felice a Cancello) e Vincenzo Melone (Casagiove) dell’Udc - oltre 700 promozioni e circa trenta assunzioni; in barba all’espresso divieto legislativo e ad una situazione finanziaria già disastrosa. Tra i beneficiari degli avanzamenti illegittimi targati Scialdone compaiono Giovanni Orsi, fratello degli imprenditori collusi con il clan dei Casalesi Sergio e Michele (ucciso da Setola e i suoi killer il 1 giugno del 2008), promosso dal 5° al 6°
Luigi Munno
livello, il sindacalista Domenico Merolla, segretario regionale della Filas e da sempre critico con la gestione allegra del Consorzio, ma cooptato nel suo ufficio di staff, Francesca Stellato,
Giuseppe Venditto
sorella di Giuseppe, consigliere regionale del Pd nonché noto penalista, passata con una disposizione interna dal part-time al full-time, e Giuseppe Oliviero, assessore a Villa Literno ma in passato anche consigliere comunale, incompatibile con il servizio al Cub, ma premiato in quanto uomo di Cosentino, come emerge dalla prima ordinanza di arresto a carico del parlamentare del Pdl. La valenza assolutamente bipartisan degli ordini di servizio permette a Scialdone di operare con la più totale acquiescenza dei successori di Fabozzi, ovvero di Luigi Munno, sindaco sempre in quota Pd di Macerata Campania, cui dopo circa due mesi e in perfetto stile da manuale Cancelli succede Enrico Parente, allora primo cittadino di Grazzanise ed esponente della Destra di Storace, indagato per concorso esterno in mafia e ritenuto dai magistrati della DDA di Napoli medico di Michele Zagaria quando era latitante; con Parente opera in qualità di dirigente responsabile dell’articolazione casertana del Cub l’esponente del Pd Giuseppe Venditto. 

Arrivano i tecnici. Nel febbraio 2010 la legge numero 26 pone in liquidazione il Cub sciogliendo l’assemblea dei sindaci e affidando la gestione ai commissari liquidatori nominati dai presidenti delle Province di Napoli e Caserta; a marzo arriva così il commercialista Gianfranco Tortorano,
Francesco Goglia
che attende un mese prima di rimuovere dall’incarico Scialdone, nel frattempo indagato dal pm della Procura di Santa Maria Capua Vetere Marco Guarriello proprio in relazione al vorticoso giro di promozioni per i reati di abuso d’ufficio, voto di scambio e falso. Nonostante l’inchiesta Tortorano non annulla però i provvedimenti dell’ex direttore generale - lo farà alla fine del 2011 l'attuale commissario liquidatore Gaetano Farina Briamonte - . Scialdone, imputato tra l’altro in un processo per camorra e smaltimento illecito dei rifiuti insieme a boss del calibro di Salvatore Belforte, è tuttora responsabile tecnico del Cub, una qualifica quasi dirigenziale che gli frutta 3279 euro lordi mensili. Dopo la rimozione di Scialdone, Tortorano nomina direttore generale, ancora senza selezione pubblica, Francesco Goglia, attuale dirigente dell’ufficio legale del Cub, altro ruolo fortemente strategico con stipendio lordo di 6500 euro mensili, ma soprattutto ex sindaco di Casal di Principe (nel 2003) e fedelissimo di Cosentino; di Goglia, avvocato, parla il procuratore capo della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere Corrado Lembo nell’audizione del 13 ottobre 2010
Corrado Lembo
alla commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, al termine di un lungo discorso dai toni allarmistici in cui ribadisce l'interesse dei clan camorristici per il settore dei rifiuti e per il Cub e la loro vicinanza a sindaci e amministratori locali (dell'audizione Dovere di Cronaca ha dato conto in un precedente articolo del 5 maggio scorso). Per la cronaca Goglia si dimette ad agosto, mentre Tortorano si dimetterà qualche mese dopo, nel novembre del 2010, in seguito al coinvolgimento in un’inchiesta della Procura di Napoli relativa alla liquidazione di una società partenopea.    


Antonio Pisani e Marilù Musto

lunedì 6 agosto 2012

Appalto rifiuti a Caserta verso l'aggiudicazione rebus requisiti per due partecipanti


Il dieci agosto la città di Caserta dovrebbe conoscere l’azienda che per i prossimi cinque anni effettuerà il servizio di igiene urbana, ovvero di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Un appalto del valore di 57 milioni di euro, dunque oltre 11 all’anno. Alla gara pubblica hanno preso parte la ditta Ecologia Falzarano di Airola (Benevento) in Ati (associazione temporanea di imprese) con l’DHI spa dell’imprenditore Alberto Di Nardi di Pastorano (Caserta), e l’Ipi srl di Roma che si è presentata con l’Eco.Car. srl, con sede sempre nella capitale. L’Ipi e l’Ecocar, entrambe di proprietà dell’imprenditore di Nettuno Antonio Deodati sono già presenti a Caserta nell’ambito del servizio di igiene urbana: la prima gestisce l’attività dal 2010 seppur in proroga insieme all’Alba Paciello di Casagiove – ditta che non si è presentata alla gara - con cui ha dato vita alla Caserta Ambiente, mentre l’Ecocar fornisce i mezzi per la raccolta. Qualche malumore e più di un sospetto ha suscitato la decisione del dirigente comunale responsabile del procedimento Carmine Sorbo di prorogare l’apertura delle buste dal 18 giugno al 3 luglio, secondo
Il dirigente Carmine Sorbo
un copione già visto durante la gara del 2008 quando in seguito alla riapertura dei termini una delle due partecipanti, la Sace, si ritirò per protesta, lasciando campo libero alla Saba, che poi vinse salvo essere estromessa dopo due anni per un’interdittiva antimafia. Questa volta, ufficialmente, lo spostamento è stato motivato da richieste di chiarimenti avanzate da una ditta che poi non si è presentata, ma secondo voci vicine a Caserta Ambiente, sarebbe stato un modo per dare più tempo all’Ati composta da Ipi ed Ecocar di raggiungere la soglia pari ad almeno il 70% dei 36 milioni di euro di fatturato, ovvero circa 25 milioni, realizzato nel triennio 2008-2010 con attività specifica di igiene urbana, ovvero a servizio dei Comuni, come richiesto esplicitamente dal bando. Più precisamente il bando prevede che in caso di Ati, la capofila, nel caso specifico l’Ipi, possieda almeno il 60% della soglia, ovvero 21 milioni di fatturato, mentre la mandante, dunque l’Ecocar, almeno il 10%, ovvero da 3,6  milioni in su. L’Ipi non dovrebbe avere problemi, è l’Ecocar invece a suscitare più di un’ombra. A leggere le visure camerali si nota come l’Ecocar solo dal 3 marzo 2011 effettui il trasporto per conto terzi, ovvero per i Comuni; il 24 maggio dello scorso anno inoltre la società di Deodati ha acquistato il ramo di azienda relativo ai trasporti da una società di Latina, la Sta (Servizi Trasporti Ambiente), coinvolta nel 2007 nell’operazione Sabbie Mobili del Noe di Roma e soprattutto riconducibile, secondo quanto emerso dalle indagini, ad Antonio Nocera, dipendente di Caserta Ambiente, originario di Nettuno, stessa cittadina laziale da cui proviene Deodati; durante l’indagine Nocera finì in carcere, mentre la Sta, con i suoi mezzi per il trasporto di rifiuti, fu posta sotto sequestro insieme ad un’altra azienda che gestiva un sito di stoccaggio, la Siritec Ambiente srl, di cui Nocera era considerato gestore di fatto. L’inchiesta svelò un organizzazione che aveva smaltito illecitamente in una discarica pubblica i rifiuti speciali provenienti dai siti gestiti da Nocera con un guadagno stimato di 450mila euro. La Sta inoltre, secondo quanto emerge dai bilanci del triennio 2008-2010, raggiunge un fatturato di un 1,6 milioni di euro, insufficiente dunque a fornire all’Ecocar la possibilità di eguagliare la soglia prevista dal bando. Non è improbabile che in questo periodo di proroga Deodati abbia provveduto ad acquistare altri rami d’azienda al fine di incrementare il fatturato. Stesso discorso per la DHI di Di Nardi, una spa che effettua il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani a Santa Maria Capua Vetere e a Maddaloni in virtù di ordinanze di emergenza di fine 2011 poi prorogate; è nata nel 2010, dunque non è certo che abbia svolto attività di igiene urbana nel triennio preso in considerazione dal bando.   

Marilù Musto e Antonio Pisani 

martedì 10 luglio 2012

Il calvario di Nicola, invalido che nessuno vuole. Ma per l'Asl è quasi sano

Nicola Abate
Nicola Abate ha appena 37 anni, ma ha già trascorso oltre metà della sua vita tra ospedali e commissioni mediche dopo un gravissimo incidente avuto in età adolescenziale che l’ha reso oggettivamente invalido, lasciandogli una cecità all’occhio destro, vistose lesioni e un’evidente zoppia alla gamba sinistra e gravi problemi di udito. Incapace di lavorare, dunque. Ma non per l’Asl o per l’Inps che non gli hanno mai riconosciuto la soglia di invalidità prevista dalla legge per aver un’indennità, prendendosi spesso quasi gioco di lui con valutazioni contraddittorie al limite del paradosso. “E dire che siamo nella patria di coloro che si fingono ciechi o paralizzati” sibila con tono sarcastico. Nicola, che vive a Trentola Ducenta in provincia di Caserta con moglie e due figli minori, è forse un po’ disilluso, ma di certo non è stanco di proseguire la sua battaglia; la sua è la determinazione di chi sa di essere dalla parte del giusto, come dimostrano le quattro istanze presentate, i due giudizi civili attivati, l’esposto alla Procura e le numerose lettere inviate negli anni ai vari soggetti istituzionali. “Sono ventidue anni che combatto per vedermi riconosciuto un diritto che mi è stato sempre negato nonostante avessi patologie certificate da numerosi medici. Chiedo solo una più giusta valutazione per il mio danno e una procedura più celere”. Il calvario di Nicola inizia il 30 luglio del 1989, quando ha 14 anni e 11 mesi. “Avevo da poche settimane passato l’esame di terza media – racconta - quel pomeriggio molto caldo attendevo la fidanzata a bordo della mia Vespa verde sul marciapiede vicino casa sua, in viale Europa a San Marcellino; improvvisamente un’auto mi venne addosso e di lì cambiò la mia vita. Fui io a raccogliere la mia gamba sinistra e a consegnarla ai medici dell’ospedale di Aversa; poi svenni e mi risvegliai al Cardarelli di Napoli dove intanto mi avevano riattaccato l’arto”. Nicola resta nel letto del presidio partenopeo fino al 29 aprile dell’anno successivo, quindi, dopo sei giorni a casa, viene nuovamente ricoverato per altri 4 mesi. “Ho subito in tutto, fino al 1992, ben 14 operazioni, tra cui quattro trapianti di pelle, carne e ossa. Nel corso degli anni tra l’altro, tutti i medicinali presi mi hanno causato una perdita delle frequenze basse all’udito con difficoltà nel sentire; e spesso soffro di vertigini”. Al dolore fisico si aggiungono i rimpianti spesso più dolorosi per non aver potuto avere una vita come quella dei suoi coetanei: “volevo iscrivermi al Geometra – dice - ma non ne ho avuto la possibilità. Così tante strade non mi si sono mai aperte”. Dopo la battaglia clinica, Nicola ne ha intrapresa un’altra, forse ben più complicata, contro la burocrazia spesso cieca alle reali esigenze degli utenti e sovente poco professionale. “La prima richiesta inviata all’allora Usl di Aversa per il riconoscimento dell’invalidità e della conseguente indennità è datata ’92; la commissione, che si riunisce a Lusciano (sede del distretto sanitario di cui fa parte il comune di Trentola, ndr), la respinge dandomi un punteggio pari al 65% mentre per legge il minimo è 74%. Dopo alcuni anni propongo una seconda istanza e mi viene riconfermato il 65%; ma intanto la mia zoppia ha causato anche problemi alla schiena non essendo bilanciato il bacino e soprattutto non mi ha permesso di ottenere alcun tipo di lavoro. Ho provato ovunque, e ovunque mi dicevano che non potevo lavorare perché non ero in grado di assicurare ogni giorno la mia presenza; mi dicevano esplicitamente ‘non ci interessi’. Con il mio 65% di invalidità mi sono poi iscritto nella sezione Massima Occupazione del collocamento di Caserta ma nessuno mi ha mai contattato, poi mi sono registrato a quello di Roma con lo stesso risultato. Mi dicevano che senza una conoscenza in qualche ente pubblico o azienda privata era impossibile lavorare. Oggi sono iscritto al collocamento di Parma ma sono sempre in attesa e intanto sopravvivo con mia moglie e i due figli di 10 e 7 anni grazie alla pensione di mia madre”.
Dopo la seconda bocciatura, Abate decide di cambiare strategia rivolgendosi alla magistratura ordinaria: è il 1998 quando presenta un esposto alla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere affinchè accerti l’esistenza di eventuali reati nella condotta dei medici della Commissione dell’Asl. Dopo appena due anni, e dopo aver ascoltato i funzionari pubblici che ripetono all’unisono di aver operato correttamente, l’ufficio inquirente chiede l’archiviazione che il Gip concede dopo altri cinque anni (il 16 agosto del 2005); sempre nel 1998 Nicola cita davanti al giudice civile Asl e Inps ma, il consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice, ovvero il medico Federico Panarella, dopo un’attenta visita conferma il 65%. “Quasi si scusò con me – ricorda Abate - ma mi fece capire che non poteva contraddire i suoi colleghi della commissione dell’Asl. Alla fine persi la causa e il giudice mi condannò anche a rifondere le spese del giudizio”. Siamo verso la fine del 2001. “A quel punto, convinto di aver ragione – racconta Nicola - mi recai privatamente da un medico legale in servizio proprio al distretto Asl di Aversa, Mariano Buniello (in quel momento responsabile del Distretto n. 36 con sede a Lusciano dell’Asl Caserta2, ndr), il quale mi riscontrò un’invalidità dell’80%”. Buniello, al termine della sua consulenza, non solo formula esplicite critiche alla perizia del dottor Panarella, ma conclude che “l’incidenza dell’infermità sulla capacità lavorativa del soggetto si spiega da sola”, e “che è utile nell’interesse della giustizia e del ricorrente rinnovare la ctu”. “Alla luce della consulenza di Buniello – prosegue Abate - decisi di riproporre nel 2004 una terza istanza, ricevendo un’ulteriore beffa; la commissione, riuniatasi al distretto di Lusciano, dal 65% che avevo in precedenza mi riconobbe il 47%. Quando mi hanno notificato il verbale non credevo a quello che leggevo. Pensavo ci fosse un errore, addirittura di trascrizione, ma all’Asl, il presidente della Commissione mi disse che era tutto vero, e che secondo loro la mia invalidità era scesa”. Nel frattempo i prolemi di salute di Nicola aumentano: nel 2005, un altro medico in servizio sempre al distretto Asl di Lusciano, Alfredo Alviano Glaviano, riscontra nel giovane un’asma bronchiale cronica che ancora oggi gli dà diritto a ricevere gratuitamente le medicine. Nicola ci riprova così nuovamente nel 2008. Alla quarta istanza vengono allegati anche i problemi all’udito: questa volta l’Asl lo porta dal 47% al 74% ma intanto la nuova normativa dà all’Inps la parola finale. “La commissione Inps mi assegna il 60%, impedendomi ancora una volta di percepire l’indennità che mi spetta”. Arriviamo così al recente passato: nel 2011 Nicola cita nuovamente l’Istituto di previdenza. Lo attende un altro processo con perizia ma intanto il 4 giugno scorso uno spiraglio sembra averlo aperto il Quirinale, che ha risposo ad una delle tante lettere inviate dal giovane (l’ultima datata 28 marzo): la firma è del segretario generale di Napolitano, il quale assicura “di aver trasmesso tutti gli atti alla Direzione Generale di Roma dell’Inps per la valutazione e le eventuali iniziative del caso”. “L'ingiustizia che ho subito dalle istituzioni è troppo grande per non essere riparata. Nonostante tutto – conclude - spero e credo ancora nello Stato”. 

Antonio Pisani e Marilù Musto