martedì 10 aprile 2012

La battaglia di Susan, l'Italia nel sangue ma per la legge è solo un fantasma

“Sono nata in Italia, qui ho la mia vita, la mia famiglia, i miei affetti e anche i miei sogni. Mi sento italiana dentro, eppure ogni anno devo sperare nella compassione di un ufficio di polizia per strappare un permesso per motivi umanitari. Perché la legge è così ingiusta?” Susan Darboe, madre nigeriana e padre ghanese, ha ventuno anni; il caso ha voluto che lei e i suoi due fratelli Prince, 20 anni, e Jolly 14, come centinaia di migliaia di ragazzi,
Susan Darboe
nascessero in  Italia da genitori immigrati che, pur vivendo e lavorando da anni nel nostro paese, non sono ancora riusciti a regolarizzare la propria posizione per colpa di una legge, quella sulla cittadinanza, a dir poco inadeguata per un paese civile; una legge che richiede dieci anni di residenza ininterrotta per conquistare lo status di cittadino ma che non tiene conto del fatto che sovente il lavoro regolare necessario per avere la residenza resta un miraggio per gli extracomunitari; basta così un intoppo perché il termine riparta daccapo. Una legge che costringe i figli a seguire il destino dei genitori, come ai tempi delle leggi razziali, quando non si faceva distinzione tra adulti e bambini, e che concede ai nati in Italia come Susan, una piccola finestra di un anno, dai 18 ai 19 anni, per chiedere a nome proprio la cittadinanza ma sempre e solo se nei tre anni precedenti hanno avuto residenza ininterrotta sul suolo italiano. Rispetto a tanti coetanei, Susan ha poi un’ulteriore problema: vive a Castel Volturno, terra di nessuno in cui le mafie casalese e nigeriana convivono e si arricchiscono senza darsi fastidio, spesso servendosi proprio degli immigrati, un territorio che è il principale snodo di tutto il movimento migratorio clandestino del basso mediterraneo, in cui, si calcola, vivono oltre 10mila stranieri irregolari il cui lavoro è indispensabile per l’economia casertana, e in cui le forze dell’ordine, con mezzi scarsi, spesso non fanno differenza tra onesti e delinquenti, e può capitare facilmente che un immigrato finisca coinvolto in un’inchiesta giudiziaria per errore rovinando la vita propria e dei propri figli, come è accaduto alla madre di Susan. La storia di Susan, se è possibile, è ancora più emblematica, in quanto gli stessi genitori non hanno affrontato viaggi della disperazione su barconi stracarichi, ma sono arrivati in Italia in tempi in cui non si parlava di immigrazione clandestina. Onesti lavoratori ma non per questo meritevoli di cittadinanza.“Mia madre atterrò a Napoli nel 1990 – racconta la ragazza – doveva andare a Roma ma conobbe mio padre, che a quel tempo faceva il meccanico di auto, e si innamorarono; si sposarono nel 1991, anno in cui sono nata io. I primi anni vivemmo a Giugliano, quindi ci trasferimmo a Castelvolturno nel 1998; e qui che ho frequentato le elementari, quindi a Mondragone il Liceo Scientifico Galilei; oggi sono iscritta alla Facoltà di Legge della Federico II, vorrei diventare avvocato e dare una mano a quanti sono nella mia situazione. Sempre che riuscirò a restare in Italia”. La vita di Susan è quella di una normale ragazza italiana; “e perché non dovrebbe essere così?” si chiede. “Ma le ragazze italiane non escono con la paura di essere fermate dai carabinieri ed essere condotte in caserma come delle delinquenti!”. La storia sua e della sua famiglia cambia radicalmente a metà degli anni 2000, quando la madre, con regolare permesso di soggiorno, viene arrestata anche in seguito a una denuncia anonima nel corso di un blitz sulla contraffazione; qualche anno dopo si scoprirà che il suo coinvolgimento era frutto di un errore di omonimia ma ormai il danno è fatto. Alla donna viene ritirato il permesso, quasi verso il traguardo dei dieci anni di residenza ininterrotta che avrebbero significato cittadinanza per lei e i figli; Susan, che in quel momento ha 16 anni, e i fratelli, diventano di punto in bianco clandestini. Inutili sono i ricorsi ai tribunali dei minori o al Tar per l’annullamento del provvedimento di ritiro del permesso; capita anche che l’avvocato amministrativista si dilegui con i soldi. “Per fortuna alla segreteria del Liceo non si sono mai accorti che non avevo più i documenti”. La svolta con la maggiore età. “Quando ho compiuto 18 anni ho capito che dovevo fare qualcosa e prendere in mano la mia vita”. Susan non può chiedere la cittadinanza, non avendo i tre anni di residenza ininterrotta, deve sostenere la maturità ma non ha i documenti, ma soprattutto non vuol dire addio all’università. Così chiede aiuto all’ufficio casertano della Cgil che si occupa di immigrazione;  nell’aprile del 2010, grazie all’interessamento della responsabile Emanuela Borrelli, ottiene un permesso di soggiorno per motivi umanitari ma con scadenza annuale, concesso dal questore di Caserta Guido Longo il quale resta molto colpito dalla vicenda della ragazza. Nel frattempo Susan si diploma, si iscrive a Legge e dà tre esami (filosofia del diritto, diritto privato e costituzionale), inizia a lavorare per conto della Cgil a Castelvolturno, come responsabile di zona, è mediatrice culturale e interprete presso il tribunale, fa da testimonial regionale alla campagna “L’Italia sono anch’io” sottoscritta da 23 associazioni proprio per rilanciare il dibattito circa la modifica della normativa sulla cittadinanza. E, come tanti ragazzi della sua età, ha voglia di cambiare le cose, e tanta rabbia, ma non quella tipica degli adolescenti; la sua rabbia nasce dall’esperienza vissuta: “Non voglio che altri ragazzi come me soffrano e abbiano disagi psicologici e materiali. La cittadinanza per i nati in Italia è una questione di civiltà, e credo sia arrivato il momento anche di riconoscere il voto agli immigrati”.

Antonio Pisani e Marilù Musto