sabato 27 ottobre 2012

Sogeri, bonifica farsa ed espropri da record così lo Stato archivia la stagione dei veleni


L'Ilva di Taranto
Potrebbe diventare un nuovo “caso Ilva” la bonifica della discarica Sogeri di Castel Volturno, che lo Stato si appresta ad effettuare con un progetto firmato Sogesid, società del Ministero dell’Ambiente. Da un lato le ragioni di un territorio che dal 1995, anno in cui la discarica è stata chiusa, subisce gli effetti di una contaminazione continua dovuta al pessimo stato di conservazione del sito che, impermeabilizzato solo in piccola parte, non ha mai smesso di vomitare nell’ambiente agenti nocivi come il percolato e il biogas, generando tra la popolazione alti tassi di leucemie e tumori ai polmoni. La Sogeri è situata a 4 km dal centro abitato. Sul versante opposto i fondi a disposizione, scarsi, appena 13 milioni, non sufficienti per una reale bonifica ma solo per un intervento tampone, come il posizionamento di una copertura in superficie. In entrambe le vicende un ruolo rilevante lo svolge la magistratura, intervenuta anche a Castel Volturno nel marzo scorso con il sequestro dell’area di quasi 120mila
La discarica Sogeri
metri quadrati; le indagini svolte dalla Guardia di Finanza di Mondragone hanno accertato infatti che il percolato, liquido nocivo prodotto della decomposizione dei rifiuti, aveva inondato le campagne circostanti, in cui sorgono numerose aziende agricole e di allevamento di bufale, finendo probabilmente nel vicino Torrente Agnena e quindi in mare. L’ipotesi di reato è di disastro ambientale. Un disastro gridato a gran voce negli anni dalle associazioni ambientaliste, cui la camorra ha contribuito in modo determinante sversando a ripetizione nella Sogeri sia prima che dopo il 1995 i rifiuti speciali provenienti da aziende di tutta Italia, tanto che il boss Augusto la Torre definì la discarica “bancomat di famiglia”.   


Le cause del disastro. E’ lo stesso “progetto di messa in sicurezza e bonifica della discarica Sogeri”, già pubblicato tra agosto e settembre sul sito del Comune di Castel Volturno, ad indicare le ragioni del disastro. Il piano è attualmente allo stato preliminare ma contiene un'indicazione precisa degli interventi definitivi. Le pareti della discarica sono impermeabilizzate solo in piccola parte, si legge nella relazione al progetto Sogesid, ovvero “parte dell’ultimo lotto di 64mila metri quadrati” (la Sogeri si estende per oltre 100mila metri quadrati), sono dunque vere e proprie groviere attraverso cui si infila il percolato che poi
Il boss Augusto La Torre
torna in superficie o finisce nelle falde acquifere, che sono ad appena due metri di profondità. Il progetto riporta i dati di analisi risalenti al 1994 (a cura dell’Enea di Roma) sulle acque in superficie, che “evidenziano valori elevatissimi di ammonio e di metalli pesanti”, e del 1995 (effettuate dal professor Giancarlo Morelli della Federico II di Napoli), secondo cui la “falda a valle della discarica è interessata da valori elevati di ph, valori relativamente alti di cloruri e da contaminazione batterica di origine umana in atto”. A tal proposito un altro studio non allegato al piano, risalente al 2001 e commissionato dall’allora pm di Santa Maria Capua Vetere Arcibaldo Miller, ha accertato la presenza del liquido nocivo fino a 40 metri nel sottosuolo. Per quanto riguarda il biogas, altro prodotto inquinante della decomposizione dei rifiuti, il piano Sogesid constata che “gli impianti di captazione (36 pozzi verticali, ndr) sono ormai in disuso e in stato di abbandono”. Il progetto non cita dati sulle patologie legate all’inquinamento, anche perché non sono mai stati realizzati studi complessivi sul fenomeno. Alcuni dati Asl riportano però un aumento del 500% negli ultimi anni dell’assistenza domiciliare ai malati di cancro, mentre qualche mese fa, alcuni specialisti della clinica Pineta Grande di Castel Volturno confermarono all’Espresso l’altissimo numero di leucemie e di tumori ai polmoni e alla tiroide nella zona mentre un pneumologo affermò che su 400 casi di tumore, il 98% era inoperabile. Del pessimo stato di conservazione della discarica erano
Percolato alla Sogeri
consapevoli i vari commissari straordinari delegati all’Emergenza Rifiuti o alle Bonifiche che ciclicamente provavano, invano, a costringere la Sogeri srl dell’imprenditore di Casal di Principe Giacomo Diana ad attuare piani di messa in sicurezza finendo per erogare fondi per interventi tampone come il prelievo del percolato al Consorzio Caserta4, ente controllato dal clan dei Casalesi, più interessato agli sversamenti abusivi che alle bonifiche come emerge dai documenti giudiziari. Quasi nove i milioni erogati in 15 anni di cui oltre due solo tra il 2005 e il 2007. Dopo ogni prelievo di emergenza, il percolato si riformava, mentre l’accumulo illegale di rifiuti sia in discarica che all’esterno dell’invaso, complice la mancanza della recinzione per oltre metà del perimetro, proseguiva indisturbato: la Finanza, sempre a marzo, come attesta lo stesso progetto Sogesid, ha scoperto e sequestrato a fianco alla Sogeri un mega-sversatoio abusivo formato da 5mila metri cubi di rifiuti ingombranti, tra cui centinaia di elettrodomestici. 

Le lacune del piano Sogesid. Una reale bonifica, secondo molti tecnici, presupporrebbe un’impermeabilizzazione totale della discarica in modo da isolarla per sempre dall’ambiente circostante, o in alternativa, una riapertura dell’ammasso con selezione dei rifiuti non catalogabili tra quelli urbani, da inviare nelle apposite discariche, e l’edificazione di un nuovo invaso. Operazioni che costerebbero almeno quattro volte in più degli attuali 13 milioni, ma che potrebbero salvare un territorio devastato da anni. Nulla di ciò è al momento previsto. Il piano Sogesid, sulla cui esecuzione vigilerà attentamente la Procura di Santa Maria Capua Vetere tramite la Guardia di Finanza di Mondragone restando il sito sotto sequestro, prevede di caratterizzare i rifiuti, ovvero di analizzarne la diversa tipologia, ma non ne prescrive la rimozione nel caso molto probabile che si accerti la presenza di materiali tossici, soprattutto perché i fondi non basterebbero; è evidente che in tal
Il deposito illegale di ingombranti
caso i finanzieri e la Procura potrebbero bloccare i lavori, con il rischio che i tempi si allunghino a dismisura. Il piano interviene, altresì, solo su alcune delle criticità indicate, come la mancanza di “impermeabilizzazione sommitale”, con il posizionamento di una copertura (capping, ndr), ovvero di un telo per chiudere l’invaso in superficie in modo da evitare il passaggio dell’aria e dell’acqua e la formazione di nuovo percolato; il liquido formatosi negli ultimi mesi verrà prelevato e saranno rimessi in funzione il sistema di raccolta del percolato e l’impianto di captazione del biogas; sono poi previsti interventi di "lifting", come “il rimodellamento del corpo della discarica (che ha un'altezza di ventuno metri) con risagomatura e messa in sicurezza delle scarpate”. 

Il regalo agli inquinatori. Il piano esclude tra l’altro un intervento sul percolato presente in profondità, ed esclude espressamente che parte dei 13 milioni sia utilizzato per la rimozione degli elettrodomestici abbandonati, che resteranno dunque a fianco alla Sogeri, destinando però quasi il 5% dei fondi, circa 600mila euro, quale indennizzo per i proprietari dei terreni limitrofi che verranno espropriati per far procedere meglio i lavori. Si tratta di un’area di oltre 16mila metri quadrati attorno all’invaso, che viene valutata a peso d’oro, per un prezzo al metro quadro di circa 36 euro; si parte da un’indennità base di 12 euro al metro quadro, già spropositata trattandosi di aree da anni esposte all’inquinamento proveniente dalla discarica - sebbene inopportunamente il Puc del Comune di Castel Volturno le definisca aree
Le torri abusive abbattute
agricole – che si moltiplica per tre visto che i soggetti espropriati figurano anche come coltivatori diretti. I soldi andranno quasi interamente (oltre il 70%) alla famiglia Cecere, con forti legami di parentela e di affari con i Coppola (la moglie di Cristoforo Coppola è una Cecere, ndr), i costruttori delle otto Torri abusive poi abbattute, i maggiori inquinatori del litorale domizio. I Cecere sono i titolari dell’Azienda Agricola Bortolotto, una volta proprietaria dei terreni dove sorgono la discarica Sogeri e l’altra, più piccola (di circa 40mila metri quadrati), denominata proprio Bortolotto, oggi chiusa ma gestita fino a qualche anno fa dal Consorzio Ce4. Lo stesso progetto Sogesid dà poi un’altra indicazione importante, stabilendo che in quei terreni oggetto di esproprio sono “ritenuti ammissibili interventi nel settore dell’agro-energia ed interventi per la produzione di energia da fonti rinnovabili”; l’indicazione potrebbe apparire superflua, trattandosi di un progetto di messa in sicurezza di una discarica, ma non lo è, se si pensa che la stessa Sogesid, o l’Agricola Bortolotto, sono impegnati anche nel settore del fotovoltaico. “Le discariche si possono bonificare – spiega il geologo Roberto Simeone – non gli ammassi di rifiuti indifferenziati come la Sogeri e la Bortolotto”.

Marilù Musto e Antonio Pisani

martedì 2 ottobre 2012

Tribunale di Napoli Nord, per la nuova sede spunta l'ipotesi ex Texas di Aversa

Il Tribunale di Napoli Nord nell’area ex Texas di Aversa. Al momento è solo un’ipotesi sussurrata a voce bassa dagli avvocati casertani, rafforzata però da una certezza: nessuna sede - tra quelle indicate nel Decreto Legislativo 155 del Governo, ovvero Giugliano e Marano - è stata scelta, e da qualche settimana il senatore aversano del Pdl Pasquale Giuliano, ex magistrato, sta attuando un autentico forcing verso il Ministero di Grazia e Giustizia per portate proprio ad Aversa il nuovo Tribunale che dovrebbe avere
Pasquale Giuliano
un bacino di utenza di quasi un milione di persone residenti tra i comuni dell’hinterland nord del napoletano e i 19 dell’Agro-aversano facenti parte della provincia di Caserta. Si parla ufficialmente del Castello Aragonese di Aversa, attuale sede della Scuola di formazione della Polizia Penitenziaria e di proprietà del Ministero di Grazie e Giustizia; ma soprattutto si lavora, sotto traccia, per l’area ex Texas, ampia più del doppio con i suoi 52mila metri quadrati tra stabilimento e terreno, e di proprietà di una delle aziende di famiglia (la Esseci Immobiliare) del presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro, esponente di spicco del Pdl campano. 

Il mega-affare della famiglia Cesaro. L’area, secondo il pentito dei Casalesi Gaetano Vassallo, sarebbe stata acquistata dalla famiglia Cesaro solo dopo il benestare del clan di Francesco Bidognetti. Quel che è certo è che Aniello
Luigi Cesaro
Cesaro, fratello di Luigi, la compra nel 2004 da Ilario Ferruccio Floresta, in quel momento deputato di Forza Italia; una cessione - preceduta da almeno due preliminari d’acquisto, il primo nell’agosto del 2002 – che si perfeziona, paradossalmente, proprio nel periodo in cui i finanzieri del Comando Provinciale di Caserta depositano una dettagliata informativa al pm della Procura di Santa Maria Capua Vetere Matilde Brancaccio, ipotizzando una mega-speculazione edilizia proprio ai danni dell’area industriale che la multinazionale americana Texas Instruments aveva lasciato nel 1998 e sul cui rilancio produttivo lo Stato aveva investito, senza alcun risultato, oltre venti miliardi di lire. 


I sospetti della Guardia di Finanza. E’ il 12 luglio 2004: i militari scrivono di “imprenditori locali, i quali, create allo scopo tre società immobiliari (Iminvest srl, Industrial Progetti srl, Esseci Immobiliare srl), da quanto emerso, sembrerebbero interessati all’area in quanto futura area commerciale e non certo industriale”. Gli imprenditori locali sono Giovanni Spezzaferri, aversano, ed Aniello Cesaro, costruttore di Sant’Antimo: a loro sono riconducibili le tre società citate nell’informativa, create in appena un mese, tra l’aprile e il maggio del 2003. I sospetti dei finanzieri, su cui la Procura sammaritana
Ilario Ferruccio Floresta
ha indagato senza approdare a nulla, trovano conferma nei progetti di riqualificazione dell’ex Texas presentati dal 2004 in poi da Cesaro, che non contemplano, in alcun modo, un rilancio industriale dell'area, nonostante il preciso vincolo delle norme urbanistiche: l’ultimo, datato 2011, prevede abitazioni per i non abbienti ma anche locali commerciali e uffici. Negli anni il sito è stato indicato anche come sede della Facoltà di Ingegneria 
della Sun (Seconda Università degli Studi di Napoli); tra l’altro, nei pressi dell’entrata è stata realizzata la fermata della Metro Regionale. Che si sia trattato di una manovra speculativa lo rivelano poi tanti elementi emersi nell’indagine. Il prezzo pagato dall’imprenditore napoletano, poco più di tre milioni di euro, e la circostanza che lo stesso Floresta, nel maggio del 1999, avesse acquistato l’area da sé stesso pagandola ad un prezzo di gran lunga superiore, 18 miliardi di lire. Era infatti presidente del Cda della Unicom spa, società proprietaria del terreno e dello stabilimento, e del Cda della Yorik di Bologna, la società immobiliare acquirente; in una situazione, dunque, di palese conflitto di interessi, così come Sergio Vicari, ex manager di vertice della Texas Instruments, in quel momento amministratore delegato della Unicom e azionista e membro del cda della Yorik. I vari passaggi della compravendita furono seguiti dallo studio bolognese del commercialista Piero Gnudi, attuale ministro dello Sport nel Governo Monti, presso cui la Yorik era stata creata. 
 
La grande truffa ai danni dei lavoratori. I finanzieri ricostruiscono il passaggio di danaro avvenuto in poche ore il giorno 11 maggio del 1999, quando la cessione dell’area si perfeziona, scoprendo che i soldi sono usciti dalla porta per rientrare dalla finestra. In ballo ci sono anche i fondi statali messi a disposizione per il rilancio del sito: il sospetto, mai accertato, è che parte delle risorse pubbliche siano servite proprio per finanziare la compravendita dell'area. L’Unicom Spa delibera, causa “eccesso di liquidità”, un finanziamento di 25 miliardi di lire alla Telit di Trieste – azienda di Tlc proprietaria della Unicom – che a sua volta ne invia oltre 21, senza alcuna giustificazione, alla Yorik, che nello stesso giorno ne gira 18 alla Unicom per acquistare l’area. Nel trasferimento si perdono almeno sette miliardi che nessuno sa dire che fine abbiano fatto; la vendita di terreno e stabilimento, inoltre, costruito dall’ente pubblico Isveimer nel lontano 1967, doveva essere

Lo stabilimento ex Texas di Aversa
approvata dal Ministero delle Attività Produttive, a cui però, scoprono i finanzieri, non fu mai chiesta alcuna autorizzazione. E' l’area dunque a fare gola, scoprono i finanzieri, non lo stabilimento con i 370 dipendenti e i macchinari lasciato in eredità dalla Texas Instruments; tra il 1998 e il 2002, documentano, nonostante i fondi statali, i tre imprenditori che vengono ad Aversa con l’obiettivo di rilanciarne produzione e occupazione, il triestino Massimo Zanzi con la sua Telit, l’industriale di Udine Loreto Fulchir con la Finmek e l’irpino Massimo Pugliese con la Ixfin, depauperano costantemente dei macchinari lo stabilimento aversano, per il quale intanto pagano l’affitto alla Yorik di Floresta e Vicari, senza incrementare l’occupazione; e così ad inizio 2002 l’ex Texas viene abbandonata, e i lavoratori e quei pochi macchinari rimasti, trasferiti all’ex Olivetti di Marcianise. Lo Stato intanto continua a credere nei progetti di rilancio affidati ora a Pugliese; stanzia 15 milioni di euro per la fantomatica auto del futuro, o per la domotica. Anche Marcianise farà la stessa fine di Aversa, certificata dal fallimento della Ixfin nel giugno 2006. Tra meno di un mese dovrebbe arrivare a sentenza il processo in corso al Tribunale di Roma che vede imputati per truffa ai danni dello Stato Zanzi, Fulchir e i manager che si succedettero ad Aversa. Ma intanto il cerchio sulla mega-speculazione dell’ex Texas potrebbe chiudersi prima, con l’approdo del Tribunale di Napoli Nord. 

Marilù Musto e Antonio Pisani